giovedì 28 febbraio 2013

Cameratismo e goliardia.



I Camerati non dimenticano, hanno una memoria formidabile, come gli elefanti. Non solo, i Camerati hanno il massimo rispetto per gli avversari leali ma disprezzano profondamente gli infami ed i traditori. Per questo, con spirito assolutamente goliardico, ieri sera, in Piazza San Babila (luogo simbolo della destra milanese anni '70) hanno voluto platealmente brindare (rigorosamente con vino nero Sangiovese di Predappio), all sconfitta politica e morale di Gianfranco Fini, escluso dalla camera dei deputati, della quale era presidente. Fra il centinaio di militanti, uomini e donne, di varia età, estrazione e sigla politica di appartenenza, erano presenti volti noti come: Antonio Bastone, Attilio Carelli, Giuseppe Catena, Franco Ferrero, Gianluigi Giussani, Roberto Jonghi Lavarini, Carletto Lasi, Franz Lauri, Gabriele Leccisi, Battista Occhionero, Oscar Rebughi, Pierangelo Pavesi, Nicola Sensale, Ciccio Sciscio, Sergio Spinelli, Diego e Mauro Zoia, Edoardo e Simone, i camerati "Bomber" e "Tonnellata".






Oltre la linea dell'Orizzonte.


Oltre la linea dell'Orizzonte di Mario Merlino

La fotografia mostra il volto di profilo, con i capelli mossi e le guance con la barba rada. Alle stazioni della metropolitana volantini attaccati alle pareti, sulle colonne ad ogni angolo. Uno dei tanti che la famiglia ricerca, spesso senza esito. I passanti osservano, no, danno al massimo una frettolosa occhiata, forse un po’ morbosa, forse non riuscendo neppure a vedere a leggere. Tutti con il cellulare in mano gli occhi impastati di sonno nervosi irritati soprattutto con questa maledetta fretta, inutile, stupida, indotta. Dopo la Riforma luterana, dopo il Calvinismo, sui campanili delle chiese l’orologio a battere anche il quarto d’ora. Lo sguardo ieratico del cambiavalute con sua moglie nel quadro del pittore fiammingo Quentin Metsys. Dominati dalle nuove divinità del tempo che scorre e dove ogni minuto deve essere impiegato nel cerchio osceno del lavorare produrre consumare lavorare o, come poetava Ezra Pound nel Canto XLV, Contro l’Usura, ‘per vendere vendere/ presto e con profitto’.
Dove c… andate? Uomini grigi uomini di paglia uomini formicaio… ed io fra loro, anch’io, peso morto della società, pensionato, trascinato dal vortice, in questa bolgia dantesca ove tutti siamo carnefici e, al contempo, vittime di noi stessi… Eppure, lo confesso, dopo due giorni in campagna – la montagna, la baita di Emilia, il sudore lungo la schiena, il sentiero e la radura sono altra cosa e ne sento forte la mancanza – mi prende la nevrosi del marciapiede delle vetrine degli autobus della gente del semaforo e dei guidatori che ti bombardano con il clacson, mentre bloccati dal traffico gli uomini si mettono le dita nel naso e le donne si rifanno il trucco…
Pino Caruso, a metà degli anni ’60, nello scantinato, divenuto cabaret, canta del legionario di Lucera, quello ‘morto nel Katanga... a quarant’anni e la fedina nera’ (che molti di noi avevano trasformato in‘camicia nera’). Il Bagaglino dove trascorrevamo le serate in compagnia di Mario Castellacci, Leo Valeriano e, a mezzanotte, con un piatto fumante e piccante di penne all’arrabbiata.

Ne ho scritto in Atmosfere in nero. E ancora: ‘se rimanevo a casa/ là nella mia Lucera/ ora sarei arrivato/ coi figli e la pancera./ Avrei la moglie grassa,/ le rate e la 600,/ mutua, televisore, / salotto e doppio mento’. Beh, allora, avevamo vent’anni e ci si perdonerà se ci innamoravamo degli spazi lontani, di pretese d’andar oltre la linea dell’orizzonte dove volgere il passo e il nostro ‘cuore avventuroso’. Poi, poi…magari senza la moglie grassa, guardando poco la televisione e avendo abbandonato la macchina alla definitiva rottamazione…

C’è chi, però, ha preferito trasformare quello spazio e quell’orizzonte in realtà di vita vissuta. Penso a Girolamo. Ci eravamo iscritti alla Giovane Italia lo stesso giorno, lui io e Roberto, il 15 ottobre del 1960, salendo le scale di Palazzo del Drago, a Roma. Senza chiasso, roboanti proclami, se n’era partito, pochi anni dopo, per il Belgio e da lì, arruolatosi come mercenario, in Congo a Leopoldville e Bukavu. Quando rientrava in Italia, sempre più taciturno, spendeva in modo spensierato ed elegante la paga, e con le esperienze accumulate e un rollino di fotografie che sarebbero diventate un bel libro, Il bottino del mercenario. Edito nel 1987, a vent’anni quasi dalla scelta di andarsene in Africa e poco prima di andarsene e per sempre.‘…Una foresta africana, una pozza d’acqua salmastra per dissetarci, una logora divisa kaki che rappresenti qualcosa di nostro’ contro questo mondo ove s’affoga nella quotidianità e dove s’annaspa per sopravvivere salvo essere‘fermamente determinati nel lasciare, quanto prima, questo pianeta da cui ci sentiamo del tutto estranei’. Sembrano echi salgariani, ma Girolamo ha scritto l’ultima pagina non più con l’inchiostro. Memore della massima di Nietzsche:‘Scrivi con il tuo sangue e scoprirai che il sangue è spirito’. Ci incontrammo l’ultima volta in Calabria, dove trascorrevo le vacanze. Poi era ritornato in Argentina, già determinato di non lasciarsi divorare dal male che gli fioriva dentro. Avendo giocato sovente con la morte, non era disponibile a mostrare le carte con la vita, sapendo che in fondo si bara sempre. E così, invece di attenderla, l’è andato incontro ‘ad occhi aperti’.

Nelle stazioni della metropolitana, alle pareti, sulle colonne, ad ogni angolo altri volti, messaggi di richiesta informazioni, succinte descrizioni, numeri di cellulare. Ognuno con la propria storia, il gravoso carico di paure dolori ansie, e tutti che passano nella totale indifferenza preda del nervosismo delle beghe sul posto di lavoro e dalla tanta noia, spesso inconsapevole, che ci uccide nell’aurea prigione borghese. Eppure, in quel volto di giovane dal profilo con i capelli mossi e la barba rada, un’altra storia, un altro esito…Se n’è andato, lo riportava la radio, apparentemente senza motivo, lui studente brillante e non so più che altro ‘di bello e di buono’, per arruolarsi nella legione straniera. Fuori tempo massimo. Niente Indocina Algeria e i romanzi di Jean Lartéguy. Dal viaggio dell’ Ulisse omerico, insensibile al richiamo delle sirene, per tornare alla pietrosa Itaca e alla fedele Penelope; dal desiderio di‘seguir virtute e canoscenza’ in quello del Dante, peregrino all’Inferno, al girovagare per le vie di Dublino dell’Ulysses di Joyce, inutile e anonimo essere qualunque, espressione dell’uomo europeo in cammino per una china scivolosa e melmosa. Gravato dal senso di colpa d’aver voluto edificare, per secoli e in più riprese, un Impero… ed ora avvinto e avvolto nel sogno americano.

Così, lo confesso, quel ragazzo dai capelli mossi e dalle guance ricoperte da rada barba non riesce a suscitare in me sconforto pietà ansia, semmai invidia e speranza. Invidia perché non ho scelto come lui di mettere in gioco i miei vent’anni; speranza perché vuol dire, sia gloria a tutti gli dei ai folli ai ribelli!, che c’è ancora un seme che cresce tra le aride zolle e la nuda pietraia…

Prima linea...


Il libro: “Prima Linea. Storie di guerra” di Orazio Ferrara

Episodi dimenticati della prima linea sui diversi fronti del secondo conflitto mondiale rivivono in tutta loro avvincente drammaticità nelle pagine di questo libro. Dal diario minimalista di un sergente italiano sul fronte greco alla prima linea in mare con la vendetta dell’u-boot U-81 contro la portaerei inglese Ark Royal, artefice dell’affondamento della corazzata tedesca Bismarck, alla tragedia della corazzata Barham al largo di Sollum. Dalla battaglia di Knightsbridge in terra d’Africa, la più devastante sconfitta subita da forze corazzate britanniche in tutta la seconda guerra mondiale con 250 dei propri carri armati rimasti inchiodati sulle sabbie roventi del deserto, alle imprese disperate dei caccia della Luftwaffe nei cieli del Canale di Sicilia, alle vicende dell’aeroporto americano costruito alle falde del Vesuvio, i cui bombardieri sembrarono colpiti dalla maledizione dei frati neri dopo la distruzione del monastero di Montecassino, alla strage compiuta da aerei americani che“liberavano” una comunità meridionale. Dai tristi campi di prigionia francesi del Nord Africa, in cui si moriva più della prima linea, al famigerato Campo 305 P.O.W in Egitto in cui indossare la camicia nera comportava il rischio della pena capitale, alla pietas di una donna del popolo, in prima linea tra corpi insepolti e bombe inesplose, per dare il giusto riposo ai caduti oltre le divise, oltre le bandiere.

Orazio Ferrara - Prima Linea. Storie di guerra - IBN Editore, Roma, 2013 , 168 pp., con numerose foto, 16.50 € - IBN Editore, Via dei Marsi, 57 - 00185 Roma, Tel & Fax: 0039 06 4452275 - 0039 06 4469828 - e-mail: info@ibneditore.it

Oggi come ieri...




Il nostro Onore di chiama Fedeltà !





"Andenken alla Ritter"

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"Una lettura spregiudicata della cultura fascista"



ISTRUZIONI PER UNA LETTURA SPREGIUDICATA DELLA CULTURA FASCISTA

Di Piero Vassallo

Medico illustre e umanista d'alto profilo, autore di importanti saggi sulla catechesi cattolica e, in asse con questa, su argomenti scottanti [divorzio, aborto, eutanasia, manipolazioni genetica ecc.] Luigi Gagliardi si è dedicato con successo anche a un'attività impopolare e censurata dai poteri forti quale è la revisione/demistificazione della storia del Novecento italiano, scritta dai progressisti per esorcizzare il qualunque sussulto della coscienza nazionale.
Notevoli per la ricchezza delle fonti e per l'equilibrio dei giudizi, infatti, sono alcuni suoi saggi storico-filosofici, ad esempio il profilo di Arnaldo Mussolini [scritto in collaborazione con l'autorevole pensatore Fausto Belfiori] e lo studio sulla cultura controriformista del fascismo.
A questo scabroso filone di ricerca è dedicato anche il saggio "Aspetti storici e politici del fascismo", uscito in questi giorni dai torchi animosi e instancabili dell'editore Marco Solfanelli in Chieti.
Ricco di spunti originali e di inedite citazioni, il nuovo saggio di Gagliardi disegna un profilo inedito della tentazione cattolica della cultura fascista e giustifica la motivata avversione di Mussolini e degli studiosi fascisti all'ideologia liberale.
Al proposito è citato un interessante ma (inspiegabilmente) dimenticato autore d'area, Oscar Di Giambernardino, il quale contesta la tesi di Stuart Mill, che riduce la libertà al "fare ciò che ci piace, avvenga che può" dimostrando che "le azioni individuali, mosse da criteri così scapigliati, non possono per virtù propria ordinarsi ed equilibrarsi senza interferenze, urti e sovrapposizioni, ossia senza una lotta disordinata che, se non distrugge nella pratica la proclamata libertà di gusti, di indirizzi e di carattere, obbliga codesta libertà alla conquista quotidiana di sè stessa, correndo l'alea della vittoria o della sconfitta".
Conseguenza della sovrapposizione dell'ideologia liberale alla dinamica della società organizzata secondo la legge naturale è l'impegno delle masse "alle cose in forsennata concorrenza, avendo come scopo il benessere e come mezzo di affermazione la ricchezza ... il progresso è stato concepito, in conseguenza, come una serie ritenuta inesauribile di conquiste sulla materia, bastevoli da sole a giustificare la vita umana e a dare ad essa ogni speranza e ogni ebbrezza. Così le questioni morali e religiose sono rimaste confinate in un settore quasi sperduto dell'attività umana".
Ora alla motivazione del rigetto fascista dell'ideologia liberale non è estraneo il giudizio cattolico formulato da Leone XIII, secondo il quale "la libertà, come quella che è perfezione dell'uomo, deve avere per suo oggetto il Vero e il Bene: e la natura del Vero e del Bene non è variabile a capriccio dell'uomo, ma rimane sempre la medesima e non è meno immutabile che l'essenza stessa delle cose".
La prossimità dell'idea fascista alla dottrina cattolica peraltro è testimoniata dalla definizione della libertà proposta da Guido Manacorda, un eminente studioso che fu fedele interprete del pensiero di Mussolini e implacabile critico dell'esoterismo nazista: "La libertà non è un diritto: è un dovere. Non è un'elargizione: è una conquista. Non è un'uguaglianza: è un privilegio".
Al rifiuto dell'ideologia liberale discende la critica all'assolutismo democratico. Al proposito Gagliardi cita un testo di Alfredo Roncuzzi, filosofo di estrazione cattolica e perciò dimenticato o volutamente censurato dall'insensibilità della pubblicistica ispirata da Armando Plebe e dai suoi ascari neodestri: "L'irrazionalità sistematica del suffragio universale, comunemente adottato dalle democrazie odierne, il quale dà agli inferiori, ai meno preparati, ai meno qualificati, alla massa indistinta, la potestà numerica di designare i dirigenti politici, si fonda sul concetto di un'ipotetica uguaglianza, cioè su un'astrazione".
Il testo di Roncuzzi fa affacciare alla memoria le tradizionali obiezioni della sana filosofia al concetto di sovranità popolare, oltre che la fondamentale distinzione tra popolo e massa, affermata da Pio XII nel radiomessaggio per il Natale del 1944.
Gagliardi, infine, indirizza la politologia tradizionale a porre l'accento sulla divina Provvidenza (che trascende la volontà delle masse ordinando la storia ai suoi fini).
La dottrina provvidenzialista fu dimostrata autorevolmente dal cattolico Giambattista Vico, il geniale italiano, cui i giovani avanguardisti (Niccolò Giani, Guido Pallotta e Nino Tripodi) educati alla vera fede nella scuola fondata da Arnaldo Mussolini, attribuirono il titolo di filosofo del fascismo.
La critica del democratismo, peraltro, è in linea con l'insegnamento di Benedetto XVI, il quale afferma che, ove il relativismo fosse vero "la maggioranza di un momento diventerebbe l'ultima fonte del diritto". Ai seguaci di un tale paradosso, Benedetto XVI rammenta che "la storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall'ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità"
Scritto davanti al definitivo tramonto dei partiti organizzati in conformità all'equivoco concetto di destra politica, il saggio di Gagliardi aiuta a comprendere la necessità del rinnovamento nella genuina tradizione italiana e l'obbligo di comprendere che la riforma della vetusta e lisa costituzione del 1946 deve cominciare dalla critica al principio di sovranità popolare e dalla ridefinizione del concetto di libertà.

venerdì 22 febbraio 2013

giovedì 21 febbraio 2013

LA DESTRA per la CULTURA.




LA DESTRA: IL “MANIFESTO PER LA CULTURA”

La Consulta per la Culturapresieduta da vicesegretario Nazionale Nello Musumeci: Guardare al contemporaneo e alle identità locali per rilanciare la cultura italiana

ROMA – È stato diffuso oggi il Manifesto per la Cultura - Politiche 2013, redatto dalla Consulta per la Cultura de «La Destra»,coordinata dall’On. Nello Musumeci, vicesegretario nazionale del partito e deputato del Parlamento Siciliano. Il Manifestoprende spunto dalle politiche di questi ultimi anni che hanno progressivamente relegato la questione culturale agli ultimi posti delle graduatorie nelle agende di governo e critica la politica di tagli, devastanti nel campo della cultura, di cui il governo Monti è stato massima espressione. Il documento approvato dalla Consulta per la Cultura de «La Destra»,propone di potenziare, al contrario, gli investimenti nel settore della cultura, del turismo e della formazione, scommettendo sul potenziale che rende l’Italia unica al mondo: le specificità dei territori (agricoltura, enogastronomia, tradizioni artigianali, etniche e religiose), le bellezze monumentali e artistiche, la magnificenza del paesaggio. Il Manifestoper la cultura contesta, poi, l’importazione di modelli esteri, emulati a discapito di una originalità nazionale, e mette l’accento sull’indebolimento progressivo delle azioni di tutela, da parte delle Istituzioni, nei confronti delle specificità culturali, creative, paesaggistiche, territoriali e imprenditoriali. A fronte di questo, «La Destra» propone di puntare sulla cultura contemporanea, “poiché – si legge nel Manifesto per la cultura - la costruzione dell’identità non conosce battute d’arresto: continua, sempre, e si nutre delle energie del presente, assieme a quelle del passato. Arti contemporanee, industria della moda e del design, ricerca scientifica e accademica, voci dissonanti e di sperimentazione, sviluppo di sistemi creativi, progettazione di segni e forme nuovi: l’orchestrazione dei molti fermenti culturali di una Nazione passa anche e soprattutto da qui”. Il Manifesto per la Cultura de «La Destra», contrappone, inoltre, alle insidie e alle complessità della globalizzazione, la valorizzazione di una cultura locale; declinata secondo logiche di competitività e di dialogo internazionale: “siamo quelli del glocal - si legge – che arginano le spinte ultra-liberiste del centrodestra e credono nella necessità di ripartire dai luoghi e dalle tradizioni. Quelli che puntano a un’Europa delle Nazioni, dei diritti uguali per tutti e delle mille differenze culturali, da esaltare e non livellare. Un’Europa unita dalle naturali, antiche solidarietà sociali, e non dalle sole esigenze di una fredda moneta comune. Un’Europa che lavori per costruire cooperazioni armoniche all’interno dell’area del Mediterraneo, favorendo gli interessi economici, i diritti e lo sviluppo dei popoli europei e rafforzando il dialogo con quelli extraeuropei. Ed è in questa direzione che la Destra sociale continua a muoversi, consapevole di quanto questo sia, essenzialmente,cultura. Cultura come nodo da cui determinare un’immagine reale della questione europea; cultura come possibilità concreta per un new deal che conduca oltre la crisi; cultura come strategia di sviluppo che punti alle specificità e alle sapienze dei territori. Cultura, infine, come desiderio, immaginazione, azione”. “Una Nazione ricca intellettualmente – spiega Nello Musumeci, coordinatore nazionale della Consulta per la Cultura - è una Nazione capace di generare ricchezze nuove e di mettere a frutto quelle antiche. Questo è il Nuovo Corso che immaginiamo”.
LE PROPOSTE DE «LA DESTRA» PER LA CULTURA ITALIANA:
- Politiche di defiscalizzazione per privati che acquistino opere d’arte o che sostengano, con forme di mecenatismo, istituzioni e progetti culturali.
-Defiscalizzazione per le aziende che investano in cultura, che acquistino opere d’arte o che producano progetti culturali.
- Sostegno alle nuove imprese creative e alle imprese giovanili in fase di start up, attraverso strumenti di consulenza, di finanziamento e di incubazione.
-Rimodulazione dell’IVA per prodotti culturali.
- Politiche consortili che agevolino nei costi di produzione e organizzazione le piccole gallerie e le piccole imprese creative, arrestandone il processo di sparizione: una soluzione, quella dell’associazionismo, che diventa strategia per affrontare i mercati globalizzati e per proteggere le specificità territoriali.
- Politiche di agevolazione e di sostegno (in termini economici, ma anche di offerta di servizi e spazi) per il non profit e la ricerca.
- Sostegno alle imprese creative e, nello specifico, al settore del made in Italy, nel tentativo di rafforzare l’export e di essere competitivi incentivando la produzione e la diffusione delle eccellenze italiane.
- Incremento e sviluppo di servizi, impianti e strategie di comunicazione, a favore del turismo culturale.
- Azioni di tutela e conservazione del paesaggio e dei beni culturali, con adeguamento dei servizi aggiuntivi, secondo standard europei e con investimenti per l’innovazione tecnologica.
- Sinergia forte tra mondo della formazione e mondo del lavoro, incrementando la partecipazione degli studenti al lavoro nella piccola impresa ma anche nella bottega: il recupero e la salvaguardia della tradizione artigianale si sposa con la formazione manageriale e con la ricerca creativa contemporanea, in linea con il trend del momento (vedi settore moda e design).
-Investimenti per la realizzazione e il completamento di opere pubbliche vocate alla cultura, creando occasioni di lavoro; aumento dei luoghi di promozione, fruizione e produzione culturale, anche fuori dai grandi centri e verso le periferie (musei, scuole, biblioteche, circoli, gallerie, cinema, teatri…).
-Coinvolgimento dei privati nella gestione degli spazi culturali pubblici e incoraggiamento delle forme di mecenatismo per il supporto di grossi progetti di produzione, restauro e conservazione. Mantenendo fermo il ruolo di monitoraggio e di controllo dell’istituzione pubblica, che ha la proprietà degli spazi e che detta le linee guida dei progetti, occorre sperimentare il modo in cui la managerialità, l’efficienza e la tempestività del privato possano compensare la lentezza burocratica, la mancanza di competenza, l’attuale ristrettezza finanziaria e la carenza di fantasia del pubblico. Riuscendo ad aumentare qualità e profitto.
- Stimolo alla cooperazione e al coordinamento tra enti statali, regionali, provinciali, comunali, per progetti culturali e strategie turistiche.
- Creazione di uno sportello ministeriale attento alle esigenze del cittadino, che possa servire per assistere le imprese, gli artigiani e le associazioni nell’accesso ai fondi statali ed europei, nella partecipazione ai bandi, nell’assistenza per i servizi, nella consulenza per i progetti.

Per una grande destra.

Roberto Jonghi Lavarini e Marcello Veneziani, con La Destra di Francesco Storace, per la convocazione di un congresso costituente per creare una nuova grande destra italiana.
E Fini, "il capitan Schettino della destra italiana" è bene che resti a casa, "ai domiciliari"
A quattro giorni dal voto, con tutti i politici impegnati nella corsa elettorale, a caccia anche di un singolo voto in più, “Il Giornale d’Italia” ha voluto intervistare Marcello Veneziani che, appena l’altro ieri, aveva lanciato, dalla prima pagina de “il Giornale”, un appello all’unità di tutti i partiti che compongono l’oramai frastagliatissima area di destra. Dopo aver sentito anche il parere di Pietrangelo Buttafuoco, era giusto cercare di comprendere meglio l’idea che Veneziani ha di una destra unita e coesa.

D. Veneziani, lei nel suo articolo guarda con nostalgia al passato, al MSI per intenderci, con un filo di disgusto alle divisioni odierne e auspica, per il futuro, una nuova destra unita. Ma in che mondo pensa che un’area così frastagliata possa ricompattarsi?
R. Sì, le biografie e l'esperienza dicono che non si compatteranno, ma io sostengo una cosa semplice: o lo fanno o la destra sparisce. Tertium non datur. Nessun frammento è in grado da solo di rilanciare il progetto politico di una destra. Quindi o tentano di ricomporre l'ambiente che ha animato la destra in Italia cercando di integrare la maggior parte di coloro che da quell’area provengono, oppure meglio finire in clandestinità.
D. Lei è il padre del progetto “Itaca”. Per lei il punto di partenza è un dialogo fra le varie correnti di intellettuali, o si deve partire –concretamente- dai programmi dei vari partiti e movimenti?
R. No, gli intellettuali non c'entrano o perlomeno non sono loro che devono far partito, gli intellettuali pensano e scrivono in solitudine. Gli intellettuali possono essere ostetrici, ma non leader di partito. Il progetto che io ho lanciato e che definii come un progetto prepolitico, era un invito accorato a chi vuol far politica a destra di ripartire dai punti in comune per rifondare un nuova destra.
D. Buttafuoco, nella sua intervista a “il Giornale d’Italia” ha parlato di una “casa comune” che vada da Casapound a una parte del PDL, passando perfino per la Lega. Lei crede che sarebbe realizzabile un’unione di “anime” così distanti?
R. Non credo che si possa fare una fusione generale, ci sarebbero troppe incompatibilità e crisi allergiche, ma credo che si debba tentare di integrare quanti più soggetti e movimenti possibili che accettino una comune piattaforma ideale.
D. Concretamente, da dove si dovrebbe partire per costruire un nuovo partito che rappresenti tutta la destra?
R. Da un tentativo di negoziato esteso a tutti, compreso chi ha seguito Fini, pentendosene. Si fa un tavolo, si indice un conclave, si cercano figure che possano almeno nella prima fase garantire un ruolo se non super partes almewno extra partes e si comincia. Poi se il discorso procede si genera un agile manifesto e si fanno gli stati generali della destra, ma chiamati in altro modo. Una bella cospirazione nazionale alla luce del sole, della Grande Destra per un'Italia rinata.
D. In questo marasma di sigle e movimenti, è innegabile che “La Destra” di Storace sia l’unica realtà ancora strutturata come un partito, almeno così la vede Buttafuoco. Lei si trova d’accordo?
R. Sono d'accordo nel ritenere la Destra di Storace il punto di partenza e riconosco alla destra di Storace la coerenza e la priorità cronologica rispetto agli altri. Ma attenti al gioco di chi vuol sminuzzare la destra, ridurla in frattaglie, e poi trattare caso per caso.
D. La convince il progetto messo in piedi da “Fratelli d’Italia”?
R. Se fosse partita un anno prima, diciamo alla fine del governo Berlusconi o perlomeno quando lanciammo con Besana l'appello da Itaca, e se fosse riuscita a riunirsi con le altre destre, a cominciare da La Destra, sarebbe stata una gran bella cosa. La Meloni e Crosetto mi sembrano un buon tandem. Ma rischiando la frammentazione e la battaglia dei prefissi telefonici, li aspetto al varco, cioè dopo il voto per riprendere il discorso interrotto. Con un invito: lasciate stare il centro-destra che dovrebbe essere un'aggregazione larga tra forze diverse, accontentatevi di mettere insieme i cocci della destra, sarebbe già una gran cosa, e poi dialogate con i moderati, i popolari e i liberali di centro.
D. In questa sua idea di una nuova destra, dove collocherebbe Gianfranco Fini?
R. A casa, non necessariamente nel Principato di Monaco. Al “capitan schettino” della destra italiana, che ha affondato ben quattro navi in forma di partito, si addicono almeno i domiciliari....
Micol Paglia



martedì 19 febbraio 2013

Camerata Gianfranco Resega: Presente!


E' morto Gianfranco Resega, figlio di Aldo Resega federale fascista di Milano ucciso nel 1943 dai comunisti. Gianfranco nacque nel gennaio '24 aveva 19 anni quando il padre fu ucciso e combatté anche nella Repubblica Sociale, tra l'altro, fece anche parte dei V.A.C, ossia dei reparti specializzati nella controguerrigila contro gli slavi. Lo conobbi quando mi aiutò a scrivere la prefazione di "Campo 10" L'amico Luca Gallesi mi ha dato la notizia aggiungendo che nel dopoguerra, Gianfranco Resega, è stato anch un imprenditore di successo, costruendo e mantenendo legami anche lavorativi coi camerati della Repubblica Sociale. Nel 1995 è stato tra i fondatori dell'Associazione il Testimone, che per alcuni anni ha svolto, soprattutto grazie all'Assessore Marzio Tremaglia, una preziosa attività di ricerca storica.I funerali si terranno giovedì alle ore 11 presso la Chiesa di San Francesco da Paola in via Pisacane a Milano. Guido Giraudo - http://aldoresega.blogspot.it/




«Mio padre, giustiziato dai gappisti su ordine del Pci»
La guerra civile, dall’8 settembre del ’43 alle settimane successive il 25 aprile del ’45, lasciò dietro di sé morti di entrambe le parti. Partigiani, fascisti, repubblichini, gappisti, civili: rimasti vittime di imboscate, attentati, esecuzioni sommarie, vendette. E Milano, in questo, non si tirò indietro. «Fu una stagione drammatica, per tutti. Che esplose all’improvviso, bagnando la città di sangue e lacrime». Gianfranco Resega, che oggi ha 84 anni, versò l’uno e le altre. Suo padre, il federale Aldo Resega, capo del fascismo di Milano, fu ucciso davanti a casa, e lui stesso rischiò la pelle più di una volta. «Nel ’43 avevo 21 anni. Mio padre pochi giorni dopo l’8 settembre, appena firmato l’armistizio e contemporaneamente all’insediamento all’Hotel Regina del comando della Gestapo, costituì la sezione milanese del Partito fascista repubblicano. In quel momento la città era tranquilla e papà si accordò con il comando tedesco per mantenere la popolazione in uno stato di normalità, frenando gli eccessi degli squadristi e impedendo rappresaglie contro i partigiani». Fu la stessa direzione del Partito comunista a ordinare l’eliminazione di Aldo Resega, in quanto personaggio moderato che di fatto ostacolava lo scoppio della guerra civile: fu ucciso da un commando dei Gap la mattina del 18 dicembre 1943. «Fu uno dei primi atti importanti da parte dei partigiani che volevano trascinare Milano nel caos. Dopo la morte di mio padre cominciarono davvero i guai, per tutti. Papà, che oltre che essere federale era all’epoca dirigente di un’azienda che produceva gomme, tutte le mattine prendeva il tram per andare a lavorare. Anche quel giorno uscì da casa, in via Bronzetti. Lo aspettavano in quattro. Uno, che lo conosceva di vista, diede il segnale. Un altro faceva da palo. Gli altri due spararono. Quattro colpi». Gianfranco Resega in quel momento era in caserma, ufficiale della Guardia nazionale repubblicana, a qualche centinaia di metri dal luogo dove era appena morto suo padre. «Ero in servizio. Mi hanno telefonato, andai subito a casa... il corpo era ancora per terra... Non seppi subito chi l’aveva ucciso. Lo scoprii tempo dopo: sull’Unità, nell’aprile del ’48, uno di quei gappisti raccontò come avevano preparato l’attento. Diceva che lo avevano aspettato altre volte, ma avevano rinunciato all’ultimo momento perché c’ero anch’io, che sapevano ero sempre armato. Papà invece usciva in borghese, senza pistola». Gianfranco Resega visse a Milano, fra attentati e rappresaglie, fino alla Liberazione. «Lasciai la città il 26 aprile, all’entrata degli americani. Ripiegammo su Como. Dopo, successe di tutto, ci furono molti morti, molta rabbia. Bastava che uno indossasse la divisa e veniva ammazzato sul posto. E molti andavano a prenderli a casa. Tornai a Milano dopo un anno». Proprio poco dopo l’esecuzione del capitano Giovanni Folchi. Come lui, un ragazzo di Salò.

Costituente di Destra.

Roberto Jonghi Lavarini, presidente del comitato Destra per Milano, candidato alla camera dei deputati, nella coalizione di centro-destra, come indipendente con La Destra di Francesco Storace, insieme al filosofo (giornalista e scrittore) Marcello Veneziani, promotore del Progetto Itaca: per la convocazione di un grande congresso costituente, per la riunificazione, il rinnovamento ed il rilancio, culturale e politico, della destra sociale ed identitaria italiana e per costruire un "fronte europeo dei popoli e delle nazioni", insieme a Marine Le Pen.







Via alla settimana finale. Poi, dal parlamento, la grande destra nazionalpopolare.

Dopo la manifestazione romana di ieri si riparte per ricostruire un mondo La diaspora finiana non ci ferma: sovranità la battaglia dei prossimi anni.

Entreremo in Parlamento e convocheremo la costituente per formare la nuova, grande destra italiana. E' il mandato che puntiamo a ricevere copiosamente dal popolo italiano, perché avvertiamo la sofferenza della diaspora provocata da Gianfranco Fini. Lo abbiamo rivendicato anche ieri sera alla manifestazione di Roma, fummo i primi in Alleanza nazionale a chiudere la porta in faccia al tradimento che si approssimava. Ce ne andammo quando all'orizzonte si vedeva la sagoma del partito popolare europeo. Dicemmo di no e continuiamo a dirlo. In Italia e in Europa dobbiamo costruire una forza di destra, non democristiana. Ancora meglio, una forza politica che si batta per la sovranità dell'Italia e dell'Europa, che rifugga la moneta come totem a cui si prostrano gli Stati. No, sono gli stati che battono moneta e dettano legge. Altrimenti, che si vota a fare per le classi dirigenti? Che ne è della democrazia? E' lo spirito con cui affrontiamo l'ultima settimana di campagna elettorale. Domenica e lunedì prossimi si sceglie il nostro destino per i prossimi cinque anni. Ci sarà La Destra in Parlamento. E voteremo alla presidenza della Repubblica chi si impegnerà pubblicamente a non ostacolare la riforma presidenzialista dello Stato. Ci sarà La Destra in Parlamento e le banche avranno un nemico in più che affiancherà invece i giovani nelle loro aspirazioni a realizzare sogni che vengono compressi dall'usura in guanti bianchi. Ci sarà La Destra in Parlamento e finalmente ci si batterà anche nei Palazzi della politica per tagliare le unghie al mostro chiamato Equitalia, che ti fa pagare dieci volte un debito di valore uno. Ci sarà La Destra in Parlamento, e le battaglie per la tutela della famiglia naturale e la difesa della sacralità della vita non resteranno vuote parole di circostanza. Ci sarà La Destra in Parlamento e il contrasto all'immigrazione clandestina sarà una cosa seria. Ecco, da ieri, da Roma, abbiamo rilanciato il nostro grande messaggio politico all'Italia e agli italiani. Spetterà a ciascun nostro militante e agli elettori che guardano a noi con simpatia e rispetto per la coerenza di questi anni, tradurlo in consenso nelle urne. Se torniamo alla Camera e al Senato avremo definitivamente scongiurato il tentativo di annientamento di una tradizione e di una cultura perpetrato da Gianfranco Fini.
FRANCESCO STORACE