sabato 11 agosto 2012

10 agosto 1944 in Piazzale Loreto: tragica rappresaglia ad un vile attentato terroristico comunista.

Ogni anno i comunisti ricordano i loro 15 compagni partigiani, detenuti nel carcere di San Vittore, fucilati il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto. Troviamo assolutamente naturale e giusto che ognuno ricordi ed onori i propri caduti della guerra civile. Quello che critichiamo e che non possiamo assolutamente accettare è la supina adesione di tutte le istituzioni locali, di quasi tutte le forze politiche (anche di centro-destra) e di tutta la stampa che ignorano o, peggio, fingono di ignorare che quella tragica rappresaglia è stata causata da un vile attentato terroristico dei gappisti comunisti, nel quale morirono 5 soldati tedeschi ma anche 13 innocenti civili italiani che nessuno mai ricorda. I partigiani comunisti misero una bomba sul camion tedesco che distribuiva viveri ai civili italiani e, ovviamente, come loro "eroica consuetudine" (analogamente a Via Rasella), nessuno di questi vili assassini si presentò poi, alle autorità costituite, per evitare la rappresaglia.
LA MENSA DI PROPAGANDA DEL MARESCIALLO “CARLUN” La verità sul perché, la mattina del 10 agosto 1944, quindici antifascisti detenuti a San Vittore (Andrea Esposito, maglierista; Domenico Fiorano, industriale; Umberto Fogagnolo, ingegnere; Giulio Casiraghi, tiratore di gomena; Salvatore Principato, insegnante; Renzo Del Riccio, operaio; Libero Temolo, operaio; Vittorio Gasparini, dottore in legge; Giovanni Galimberti, impiegato; Egidio Mastrodomenico, impiegato; Antonio Bravin, commerciante; Giovanni Colletti, meccanico; Vitale Vertemarchi, Andrea Ragni e Eraldo Pancini) furono condannati a morte assieme ai loro compagni Eugenio Esposito, Guido Busti, Isidoro Milani, Mario Folini, Paolo Radaelli, Ottavio Rapetti, Giovanni Re, Francesco Castelli, Rodolfo Del Vecchio, Giovanni Ferrario e Giuditta Muzzolon è tutt'altra. Perché, mentre Giuditta Muzzolon veniva graziata e per gli altri dieci la pena di morte veniva commutata in "condanna in penitenziario, qualora non si verifichino atti di sabotaggio", i primi quindici furono portati in piazzale Loreto e fucilati? Per un innocuo botto dimostrativo senza vittime ai danni di un autocarro tedesco? No. Il sangue del 10 agosto 1944 era stato provocato da altro sangue sparso 48 ore prima precisamente alle 7,30 dell'8 agosto, al margine della stessa piazza (angolo viale Abruzzi-Loreto) quando una bomba "gappista" (GAP Gruppi di Azione Patriottica, organizzazione terroristica del Partito comunista italiano) era esplosa tra la folla compiendo una strage che era costata la vita a cinque soldati tedeschi e tredici civili italiani fra i quali una donna e tre bambini, rispettivamente di tredici, dodici e cinque anni. Ecco i nomi dei civili italiani che morirono sul colpo nell'attentato gappista o nei giorni successivi, tutti per "ferite multiple da scoppio di ordigno esplosivo": Giuseppe Giudici, 59 anni; Enrico Masnata, Gianfranco Moro, 21 anni; Giuseppe Zanicotti, 27 anni; Amelia Berlese, 49 anni; Ettore Brambilla, 46 anni; Primo Brioschi, 12 anni; Antonio Beltramini, 55 anni; Fino Re, 32 anni; Edoardo Zanini, 30 anni; Gianstefano Zatti, 5 anni; Gianfranco Bargigli, 13 anni; Giovanni Maggioli, di 16 anni. Rimasero inoltre feriti più o meno gravemente: Giorgio Terrana, Letizia Busia, Luigi Catoldi, Maria Ferrari, Ferruccio De Ponti, Luigi Signorini, Alvaro Clerici, Emilio Bodinella, Antonio Moro, Francesco Echinuli, Giuseppe Formora, Gaetano Sperola e Riccardo Milanesi. Dei cinque soldati tedeschi uccisi, i cui nomi non furono annotati nei registri civili italiani, è rimasta memoria solo di un maresciallo di nome Karl, che per la sua mole era stato soprannominato dai milanesi di Porta Venezia "El Carlùn" (il Carlone). Quel nomignolo che Karl, maresciallo di fureria, se l'era guadagnato fermandosi ogni mattina, all'angolo fra viale Abruzzi e piazzale Loreto, con i suoi camions per distribuire alla popolazione verdura, patate e frutta che la "Staffen - Propaganda” acquistava al mercato di Porta Vittoria, aggiungeva agli avanzi delle mense militari e regalava ai milanesi, tutti, a quell'epoca, dannatamente a corto di viveri. Un'operazione di "public relations", si direbbe oggi, intrapresa dalle Forze Armate tedesche nei confronti dei civili e che, dati i tempi di fame, aveva riscosso un successo immediato. Troppo, per la sensibilità antifascista della "GAP" di Milano, comandata da Giovanni Pesce, detto "Visone", tutt'oggi vivente e quindi in grado di ricostruire nei dettagli l'azione che venne decisa e attuata per spezzare il feeling alimentare promosso dalla Wermacht con i milanesi. UNA ININTERROTTA CACCIA ALL’UOMO Il risultato fu che la mattina dell'8 agosto 1944, i terroristi del Partito comunista si mescolarono alla piccola folla che si accalcava come di consueto davanti alle ceste del "Carlùn" e infilarono in una di queste la bomba ad alto potenziale che, poco dopo, avrebbe seminato la strage indiscriminata: 18 morti e 13 feriti, quasi tutti poveracci milanesi. Diciotto morti e tredici feriti innocenti, tutti assolutamente dimenticati, abrogati, cancellati dalla memoria storica, politica e giudiziaria italiana. Come se fossero indegni di ricordo, di pietà, di giustizia. Li ha dimenticati Giovanni Pesce detto “Visoni”, “medaglia d’oro al valor partigiano", il quale nei libri da lui scritti sulla sua militanza gappista non ha mai raccontato questa azione che pure non è di poco conto (18 morti e 13 feriti in un colpo solo e senza subire perdite rappresentano un risultato ragguardevole); li ha ignorati, a quel che sembra, il procuratore militare Pier Paolo Rivello riaprendo il caso Saevecke; li ignorano L'Unità, l'Ulivo e Rifondazione comunista nelle loro rievocazioni e mozioni; li ignora persino l'amministrazione comunale di Milano (di centro-destra) che avalla senza fiatare la mutilazione della verità storica, con l'abituale viltà, sul suo periodico d'informazione e nei suoi atti politici. E se, ancora dopo 53 anni, tutti ignorano (o vogliono ignorare), perfino nella sua tragica essenzialità, la strage gappista indissolubilmente legata alla fucilazione del 10 agosto 1944, figuriamoci se qualcuno ricorda ciò che accadde fra il massacro e la rappresaglia. Eppure, in quelle ore disperate, mentre la gestione dei rapporti fra militari tedeschi e popolazione passava dalle "public relations" della Staffen-Propaganda e del defunto maresciallo Karl, alla Gestapo del capitano Saevecke, si impegnò un braccio di ferro durissimo fra le autorità fasciste, contrarie alla ritorsione, e i militari tedeschi inferociti che non volevano sentire ragione. Si oppose il prefetto Piero Parini, che arrivò a minacciare le dimissioni; si oppose il federale Vincenzo Costa; si oppose Mussolini, intervenendo direttamente sul maresciallo Kesselring e su Hitler. La prova è, tra l'altro, negli atti del processo politico subito nel dopoguerra da Vincenzo Costa il quale, nel suo diario ("Ultimo federale", Il Mulino, 1997) ricorda: "Alle 14 (del 9 agosto, ndr) mi trovavo nell'ufficio dei capo della provincia quando arrivò una nuova telefonata del duce; abbassato il ricevitore, Parini mi permise di ascoltare la voce inconfondibile del capo. Tra l’altro egli disse: “il maresciallo Kesserling ha le sue valide ragioni; ogni giorno nel Nord soldati o ufficiali tedeschi vengono proditoriamente assassinati... Ha deciso di attuare la rappresaglia. Ma sono riuscito a ridurre a dieci le vittime... Ho interessato il Fhurer: spero ancora””. Proprio mentre le autorità fasciste e i militari tedeschi si contendevano le vite degli ostaggi appese a un filo, i gappisti milanesi colpirono di nuovo. Anche questo è stato dimenticato. Alle 13 del 9 agosto 1944 un terrorista in bicicletta, armato di pistola, fulminò con un colpo alla nuca, davanti alla porta di casa, in via Juvara 3, il capitano della Milizia Ferroviaria, Marcello Mariani, sposato con quattro figli. Mentre l'uomo agonizzava nel suo sangue, un secondo gappista, di copertura, ferì a revolverate Luigi Leoni, della brigata nera "Aldo Resega", che era sopraggiunto e si era gettato all'inseguimento del primo. L'uccisione di Mariani fu il fatto che decise la sorte dei quindici sventurati rinchiusi a San Vittore. Fra l'ottobre 1943 e il novembre 1944 i gappisti milanesi uccisero 103 fascisti in agguati come quello di via Juvara. Il fondatore della "Ia GAP", Egisto Rubini, catturato a Sesto San Giovanni alla fine di febbraio 1944, si suicidò nel carcere di San Vittore nel marzo successivo per non tradire i suoi compagni sotto tortura. “Medaglia d’oro alla memoria”. http://www.italia-rsi.org/chivolleguerracivile/fucilazioneloreto.htm
Credo sia noto a tutti che a Milano, il luogo di Piazzale Loreto, é storicamente (e aggiungerei anche tristemente) legato ai fatti di fine Aprile1945, quando divenne quadro della macabra esposizione dei corpi di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e di alcuni gerarchi fascisti. Non a tutti é noto peró, che quei corpi furono esposti a Piazzale Loreto, come risposta ad un’altra esecuzione, avvenuta diversi mesi prima in quella stessa piazza, nella quale vennero giustiziati per rappresaglia alcuni partigiani comunisti. Ma in conseguenza di quali fatti, questi uomini divennero vittime della suddetta rappresaglia ? MILANO, 10 Agosto1944. 15 partigiani detenuti nel carcere di San Vittore, tali Andrea Esposito , Domenico Fiorano, Giulio Casiraghi, Umberto Fogagnolo, Salvatore Principato, Renzo Del Riccio, Libero Temolo, Vittorio Gasparini, Antonio Bravin, Egidio Mastrodomenico, Giovanni Galimberti, Vitale Vertemarchi, Giovanni Colletti, Andrea Ragni ed Eraldo Pancini, furono condannati a morte. Avrebbero dovuto subire la stessa sorte altri 11 loro compagni che erano stati catturati; i nomi di questi ultimi erano, Guido Busti , Isidoro Milani, Mario Folini, Paolo Radaelli, Eugenio Esposito, Ottavio Rapetti, Giovanni Re, Francesco Castelli, Rodolfo Del Vecchio, Giovanni Ferrario e Giuditta Muzzolon. Il motivo della rappresaglia fu la giusta risposta ad un attentato partigiano che, come tutti gli assassinii consumati dai partigiani comunisti, causò morti tra la popolazione civile, confermando ancora una volta il grado di bassezza e di infamia che contraddistinse sempre le terroristiche azioni partigiane. La solita gentaglia antifascista ha avuto il coraggio di dire e addirittura la sfrontatezza di scrivere in qualche libro, che la fucilazione di quei partigiani fu la conseguenza di una scellerata rappresaglia, attuata in risposta ad un innocuo botto dimostrativo ai danni di un autocarro tedesco che a dire di “alcuni” non causò nemmeno vittime. Sembrerebbe retorico ripeterlo, ma anche questo triste avvenimento fa risaltare con quanta naturalezza gli antifascisti usino la menzogna per distorcere la realtá dei fatti, per infamare, accusare e screditare il Fascismo. Adesso vedremo invece, quali furono i reali avvenimenti che portarono alla fucilazione di quegli attivisti antifascisti eseguita quel 10 Agosto a Milano, a Piazzale Loreto. MILANO, 8 Agosto 1944 ( quindi, 48 ore prima della suddetta fucilazione) Ore 07,30,…. nell’angolo che Piazzale Loreto forma con Viale Abruzzi , una bomba nascosta dai partigiani gappisti, esplode tra una piccola folla; in quel posto staziona, come ogni mattina, un autocarro tedesco che distribuisce gratuitamente viveri per la popolazione della zona e soprattutto, latte per i bambini. Rimangono uccisi 5 soldati tedeschi e 13 civili italiani, tra i quali una donna, 3 ragazzini rispettivamente di 16, 13, 12 anni e un bimbo che ne aveva appena 5. I civili Italiani uccisi si chiamavano: Giuseppe Giudici 59 anni; Enrico Masnata e Gianfranco Moro entrambe di 21 anni, Giuseppe Manicotti 27 anni, Amelia Berlese 49 anni, Ettore Brambilla 46 anni, Antonio Beltramini 55 anni; Fino Re 32 anni, Edoardo Zanini, 30 anni; i ragazzini si chiamavano, Primo Brioschi anni 12; Gianfranco Barbigli di anni 13 e Giovanni Maggioli di 16, aveva appena 5 anni il piccolo Gianstefano Zatti. L’Attentato causó anche numerosi feriti più o meno gravi; essi erano: Giorgio Terrana, Letizia Busia, Luigi Catoldi, Maria Ferrari, Ferruccio De Ponti, Luigi Signorini, Alvaro Clerici, Emilio Bodinella, Antonio Moro, Francesco Echinuli, Giuseppe Formora, Gaetano Sperola e Riccardo Milanesi. I nomi dei cinque soldati tedeschi uccisi non furono annotati nei registri civili italiani, ma è rimasto vivo il ricordo di uno di loro, un maresciallo del quale è rimasto solo il nome… Karl, che per la sua mole era stato bonariamente soprannominato dai milanesi di Porta Venezia, “El Carlùn”…(il Carlone). Come mai “El Carlùn”, il soldato tedesco che aveva ricevuto questo nomignolo, era tanto conosciuto e ben voluto? Karl era un maresciallo di fureria che si occupava alla distribuzione di quei viveri, per cui ogni mattina, assieme ad altri suoi commilitoni, si fermava proprio all’angolo fra Viale Abruzzi e Piazzale Loreto con i suoi autocarri e distribuiva alla popolazione qualcosa da mangiare e soprattutto latte per i bambini; latte che la “Staffen-Propaganda” acquistava al mercato di Porta Vittoria, lo aggiungeva a ció che rimaneva nelle mense militari e portava il tutto ai milanesi. “Questo anziano maresciallo tedesco, tanto apprezzato e ben voluto, si era guadagnato quel bonario nomignolo, non tanto perché era addetto alla distribuzione dei viveri alla popolazione milanese, ma perché, spinto esclusivamente dal senso di umanitá, quando poteva, (ció significa a titolo personale) con un piccolo camion faceva il giro delle campagne limitrofe alla cittá e si riforniva di un po’ di latte; finito il giro di raccolta, rientrava in cittá, si parcheggiava come sempre, all’angolo fra Piazzale Loreto e viale Abruzzi e qui, veniva subito attorniato da padri e madri che si dividevano quel latte, con quella fratellanza che proviene dalla comune disgrazia“.(quanto riportiamo qui scritto in corsivo, è stato raccontato dallo storico Franco Bandini. - Il Giornale, 1° settembre 1996) Un intervento umanitario di non poco valore, organizzato da coloro che una grande massa di vigliacchi additano come truppe occupanti; un’iniziativa attuata in un momento in cui “tutti” sono regolarmente a corto di viveri. Un’operazione di “public relations”, diremmo oggi, curata dalle Forze Armate Tedesche nei confronti dei civili che, visto il particolare periodo, aveva riscosso un successo immediato. Una operazione che aveva il solo scopo di aiutare la popolazione e far cosí comprendere ai civili, che i tedeschi non erano quei mostri che certa gentaglia voleva far credere. Ecco il vero ed unico motivo che fece decidere i partigiani ad organizzare quell’attentato; nulla che fosse minimamente legato ad una qualsiasi attivitá militare (anche perché, come ho giá avuto modo di dire in altri miei articoli, i partigiani non compirono mai azioni veramente militari, ma soltanto terroristiche) dunque niente che avesse a che fare col patriottismo o altri motivi di una certa “nobilta” d’animo o di una certa elevazione morale, sentimenti che sono inconciliabili con l’essenza stessa dell’antifascismo comunista. Il motivo che portó allo stragismo partigiano era lo stesso di sempre, terrorizzare la popolazione e renderla nemica o comunque tenerla distante dei tedeschi e dei fascisti, un obiettivo che si puó assimilare solo ad una matrice ideologica sporca e innaturale ….quale è quella comunista. Cosí la mattina dell’8 agosto 1944, i terroristi partigiani si mescolarono alla piccola folla affamata, che si accalcava come di consueto davanti al camioncino del “Carlùn”, posero sul sedile di guida del camioncino una bomba ad alto potenziale che poco dopo, nell’esplosione seminó indiscriminatamente la morte, uccidendo in maggioranza civili milanesi. Una strage di povera gente innocente, per l’esattezza 18 morti e 13 feriti, tutti assolutamente dimenticati, abrogati, cancellati dalla memoria storica, politica e giudiziaria italiana; come se fossero indegni di ricordo, di pietà, e soprattutto di giustizia. Non ne ha mai fatto alcuna menzione Giovanni Pesce detto “Visone”, “medaglia d’oro al valor partigiano“, (che razza di volgare riconoscimento!!) il quale, nei libri da lui scritti sulla sua militanza gappista, non ha mai raccontato questa azione che pure ha avuto un bilancio in vite umane molto pesante; questo mascalzone, che ha avuto pure il barbaro coraggio di prendersi una medaglia, (che in realtá rappresenta null’altro che la misura della sua infame e miserabile condotta), ha preferito non riportare. Li hanno sempre volutamente ignorati (…mi chiedo come potrebbe essere altrimenti!?) i comunisti appartenenti ai vari schieramenti di sinistra come, L’Unità, l’Ulivo e Rifondazione comunista, in tutte le loro rievocazioni storiche (ma sarebbe opportuno dire “politiche”). Li ignora tutt’oggi persino l’amministrazione comunale di Milano (di centro-destra) che avalla senza fiatare la mutilazione della verità storica, con gli abituali e colpevoli silenzi. Insomma, in un’Italia caduta in mano ai criminali appartenuti alle bande partigiane sembrerebbe del tutto naturale che le vittime di questa ennesima strage siano stati completamente ignorati persino da coloro che hanno il dovere di amministrare la giustizia, infatti il procuratore militare Pier Paolo Rivello, colui che riaprí il caso Saevecke (leggerete poco piú avanti chi era Theodor Saevecke) si è ben guardato dal menzionare questo fatto di sangue. E se ancora, dopo 65 anni tutti ignorano (moltissimi volontariamente) questa strage gappista, causa della rappresaglia che culminerá con la fucilazione del 10 agosto 1944, figuriamoci se qualcuno, guardandosi bene dal raccontare, parla di cosa che accadde in quelle 48 ore intercorse tra il massacro di quegli innocenti e la rappresaglia. In quelle ore disperate, mentre la gestione dei rapporti fra militari tedeschi e popolazione passava dalle “public relations” della Staffen- Propaganda del defunto maresciallo Karl, alla Gestapo del capitano Saevecke, per fare una “pubblica rappresaglia“, si diede il via a un braccio di ferro durissimo fra le autorità fasciste che, pur consapevoli della legittimitá tedesca nel volere approntare una ritorsione, erano tuttavia contrarie alla rappresaglia e i militari tedeschi che inferociti, invece non volevano sentire ragione. Alla rappresaglia si oppose, molto animatamente, il prefetto Piero Parini, che arrivò a minacciare le dimissioni; si oppose il federale Vincenzo Costa; si oppose lo stesso Mussolini che intervenne direttamente sul maresciallo Kesselring e telefonó di persona, direttamente a Hitler. La prova di quanto asserisco si trova negli atti del processo politico subito nel dopoguerra da Vincenzo Costa il quale, nel suo libro-diario (”Ultimo federale“, Il Mulino, 1997) ricorda: “Alle 14 (del 9 agosto, ndr) mi trovavo nell’ufficio del capo della provincia quando arrivò una nuova telefonata del Duce; abbassato il ricevitore, Parini mi permise di ascoltare la voce inconfondibile del “Capo”. Tra l’altro egli disse: “il maresciallo Kesselring ha le sue valide ragioni; ogni giorno nel Nord soldati o ufficiali tedeschi vengono proditoriamente assassinati… Ha deciso di attuare la rappresaglia. Ma sono riuscito a ridurre a dieci le vittime… Ho interessato il Führer e spero ancora”. Mentre le autorità fasciste e i militari tedeschi si contendevano le vite degli ostaggi, appese a un filo, i gappisti milanesi, non contenti della strage provocata, colpirono di nuovo. Alle 13 del giorno dopo l’attentato, quindi il 9 agosto 1944, un terrorista in bicicletta, armato di pistola, uccise davanti alla porta di casa, in via Juvara 3, sparandogli a bruciapelo un colpo alla nuca, il Capitano della Milizia Ferroviaria, Marcello Mariani. Il Capitano Mariani era sposato e aveva quattro figli; mentre l’uomo agonizzava nel suo sangue, un secondo gappista, posto a copertura, ferì a revolverate Luigi Leoni, appartenente alla brigata nera “Aldo Resega“, che era sopraggiunto sul luogo del delitto e si era gettato all’inseguimento dell’uccisore del Capitano Mariani. Questi altri attentati, avendo raggiunto dei militari italiani, non compromisero la trattativa intrapresa con i tedeschi, che tendeva a evitare… o quanto meno minimizzare il numero di persone da fucilare per rappresaglia. Subito dopo peró, a distanza di qualche ora ci fu un altro attentato ai danni di un autocarro che portava dei militari tedeschi che, pur non avendo fatto vittime, rappresentó la classica “goccia che fa traboccare il vaso”, diventando l’elemento che segnó la sorte di quegli sventurati rinchiusi a San Vittore. Le autoritá italiane, che fino a quel momento avevano nutrito la concreta speranza di salvare quei 15 uomini, vedono cosí cadere ogni trattativa con i tedeschi, che il giorno dopo portano i prigionieri a Piazzale Loreto e li fucilano. Nessuno oserá toccarli per non rischiare di essere accusati di connivenza con i partigiani. Adesso….a Piazzale Loreto non c’e più “El Carlùn“ a portare viveri e aiuti alla popolazione, ci sono solo i cadaveri di 15 uomini passati per le armi e abbandonati sul selciato. Questi furono i veri fatti che, condurranno alla macabra esposizione del Capo del Fascismo e degli altri a Piazzale Loreto; un atto criminale, vergognoso e infame, un atto che testimonia, (qualora fosse ancora necessario), l’essenza diabolica e malvagia di cui è intrisa l’ideologia comunista. Tenendo fede alle loro abitudini sanguinarie, con questo ennesimo atto di barbarie i partigiani comunisti causarono una tragedia che complessivamente, tra l’ 8 e il 10 agosto 1944, costó la vita a 34 persone e il ferimento di altre 14. Qualcuno di voi si è mai chiesto se l’aver causato la morte di tanti innocenti, in questa come in altre innumerevoli stragi, serví a qualcosa? Portó un qualche risultato positivo a coloro che ne avevano bisogno, cioè alla popolazione? In buona sostanza, con la lunghissima serie di attentati terroristici che causó tanti morti, cosa si prefiggevano i partigiani comunisti? Cosa si prefigge chi uccide solo per il gusto di uccidere e per fanatismo ideologico? Nulla, assolutamente nulla….LA MORTE È FINE A SE STESSA!! Ballerino Vincenzo http://www.ilduce.net/piazzaleloreto.htm

giovedì 26 luglio 2012

Brigate Nere: Arditi della RSI.

La Costituzione della Repubblica Sociale Italiana: modernità nella tradizione.

LA COSTITUZIONE DELLA RSI Tra parentesi sono riportate le modifiche apportate da Mussolini di sua mano. Capo I La Nazione - Lo Stato 1 – La Nazione Italiana è un organismo politico ed economico nel quale compiutamente si realizza la stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degli individui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte. 2 – Lo Stato italiano è una Repubblica sociale. Esso costituisce l’organizzazione giuridica integrale della Nazione. 3 – La Repubblica Sociale Italiana ha come scopi supremi: 1) la conquista e la conservazione della libertà dell’Italia nel mondo, perché questa possa esplicare e sviluppare tutte le sue energie e assolvere, nel consorzio internazionale fondato sulla giustizia, la missione civile affidatale da Dio, segnata dai ventisette secoli della sua storia, voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni [le parole “voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni” sono state cancellate da Mussolini e sostituite con la congiunzione “e”], vivente nella coscienza nazionale; 2) il benessere del popolo lavoratore, mediante la sua elevazione morale e intellettuale, l’incremento della ricchezza del paese e un’equa distribuzione di questa, in ragione del rendimento di ognuno nell’utilità [le parole “nell’utilità” sono state cancellate da Mussolini e sostituite con le parole “nella comunità”] nazionale. 4 – La capitale della Repubblica Sociale Italiana è Roma. 5 – La bandiera nazionale è quella tricolore: verde, bianca, rossa, col fascio repubblicano sulla punta dell’asta. 6 – La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana. 7 – La Repubblica Sociale Italiana riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale, come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nel mondo. La Repubblica Sociale Italiana riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusività ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sulla Città del Vaticano. 8 – I rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Sociale Italiana si svolgono nel sistema concordatario, in conformità dei Trattati e del Concordato vigenti. 9 – Gli altri culti sono ammessi, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume. L’esercizio anche pubblico di tali culti è libero, con le sole limitazioni e responsabilità stabilite dalla legge. Capo II Struttura dello Stato 10 – La sovranità promana [da] tutta la Nazione. 11 – Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica. § I Il popolo - La rappresentanza 12 – Il popolo partecipa integralmente, in modo organico e permanente, alla vita dello Stato e concorre alla determinazione delle direttive, degli istituti e degli atti idonei al raggiungimento dei fini della Nazione, col suo lavoro, con la sua attività politica e sociale, mediante gli organismi che si formano nel suo seno per esprimere gli interessi morali, politici ed economici delle categorie di cui si compone, e attraverso l’Assemblea costituente e la Camera dei rappresentanti del lavoro. 13 – Nell’esplicazione delle sue funzioni sociali lo Stato, secondo i principi del decentramento, si avvale, oltre che dei propri organi diretti, di tutte le forze della Nazione, organizzandole giuridicamente in enti ausiliari territoriali e istituzionali, ai quali concede una sfera di autonomia ai fini dello svolgimento dei compiti loro assegnati nel modo più efficace e più utile per la Nazione. Sezione I L’Assemblea Costituente 14 – L’Assemblea Costituente è composta da un numero di membri pari a 1 ogni 50.000 cittadini. Deve essere l’espressione di tutte le forze vive della Nazione e pertanto debbono farne parte: 1) per ragione delle loro funzioni: coloro che, al momento della riunione della Costituente, fanno parte del Governo della Repubblica e ricoprono determinate cariche nell’amministrazione centrale e periferica dello Stato, nella magistratura, nell’ordine scolastico, in enti locali territoriali e istituzionali, in organismi politici e culturali ai quali lo Stato abbia riconosciuti o assegnati compiti di alto interesse nazionale. La legge stabilisce le cariche che importano in chi le ricopre appartenenza alla Costituente. I membri di diritto non possono superare un terzo dei componenti della Costituente; 2) per elezione popolare, coloro che siano designati a far parte della Costituente dagli appartenenti alle organizzazioni riconosciute dallo Stato quali rappresentanti: – dei lavoratori (imprenditori, operai, impiegati, tecnici, dirigenti) dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, del credito e dell’assicurazione, delle professioni e arti, dell’artigianato e della cooperazione; – dei dipendenti dallo Stato e dagli enti pubblici; – degli ex-combattenti per la causa nazionale, e, in particolare, dei decorati e dei volontari; – delle famiglie dei caduti per la causa nazionale; – delle famiglie numerose; – degli italiani all’estero; – delle altre categorie che in dati momenti della vita nazionale siano riconosciute, per legge, espressione di importanti interessi pubblici. La legge stabilisce i requisiti e le forme per il riconoscimento di tali organizzazioni, nonché, per ciascuna di esse, il numero e i modi dell’elezione dei rappresentanti nella Costituente. 15 – La Costituente elegge il Duce della Repubblica Sociale Italiana. Delibera: 1) sulla riforma della Carta costituzionale o sulle deroghe eccezionali alle norme della stessa; 2) sugli argomenti di supremo interesse nazionale che il Duce intenda sottoporle, o sui quali la decisione della Costituente sia richiesta dalla Camera dei rappresentanti del lavoro, con una maggioranza di almeno due terzi dei suoi membri di [sic, al posto di “in”] carica. 16 – La Costituente è convocata dal Duce che ne fissa l’ordine del giorno. Nel caso di richiesta della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi dell’articolo precedente, la convocazione deve aver luogo entro un mese dal voto e nell’ordine del giorno debbono essere inseriti gli argomenti indicati dalla Camera. In caso di impedimento del Duce, la Costituente è convocata dal Capo del Governo. In caso di morte del Duce la Costituente deve esser convocata per la nomina del successore, entro un mese dalla morte. Sezione II La Camera dei Rappresentanti del Lavoro 17 – La Camera dei rappresentanti del lavoro è composta di un numero di membri pari a 1 ogni 100.000 abitanti, eletti col sistema del suffragio universale diretto da tutti i cittadini lavoratori maggiori degli anni 18. Di essa inoltre fanno parte di diritto il Capo del Governo, nonché i Ministri e Sottosegretari di Stato. 18 – Sono considerati lavoratori coloro che sono rappresentati da un’Associazione professionale riconosciuta e i dipendenti da enti eventualmente esenti dall’inquadramento. Sono, agli effetti dell’elettorato attivo, equiparati ai lavoratori: 1) coloro che hanno cessato di lavorare per ragioni di invalidità o vecchiaia; 2) coloro che seguono regolarmente un corso di studi, in istituti scolastici statali o pareggiati; 3) coloro che siano disoccupati involontari, o svolgano attività, da determinarsi per legge, fuori del campo della disciplina professionale. 19 – Possono essere eletti rappresentanti del lavoro coloro che siano in possesso di tutti i seguenti requisiti: 1) Siano maggiori degli anni 25, oppure siano decorati al valor militare o civile, volontari di guerra, mutilati o feriti di guerra o comunque per la causa nazionale, maggiori degli anni 21; 2) siano elettori; 3) non abbiano subito condanne per delitti o atti incompatibili colla dignità e il prestigio di rappresentanti del lavoro. La legge determina tali delitti o atti, escludendo quelli compiuti per ragioni di convinzioni politiche. 20 – I membri della Camera rappresentano tutto il popolo lavoratore, e non gli appartenenti alle circoscrizioni territoriali o alle categorie professionali che li hanno eletti. 21 – I rappresentanti del lavoro non possono essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni se non dopo aver prestato il giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti della patria di servire con fedeltà la Repubblica Sociale Italiana, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi, nel solo intento del bene della Nazione. 22 – I rappresentanti del lavoro hanno il dovere di esprimere le loro opinioni e di dare i loro voti secondo coscienza e per i fini della loro funzione. Sono liberi e insindacabili nell’esercizio delle loro funzioni. 23 – I rappresentanti del lavoro non possono essere arrestati, salvo il caso di flagranza di delitto, né processati, senza l’autorizzazione preventiva della Camera. 24 – I rappresentanti del lavoro restano in carica per tutta la durata della legislatura (art. 25). E sono rieleggibili. Decadono però dalla loro funzione: 1) se tradiscono il giuramento prestato; 2) se perdono alcuno dei requisiti per la loro eleggibilità; 3) se trascurano i doveri della funzione rimanendo assenti per dieci sedute consecutive della Camera, senza autorizzazione da accordarsi dal Presidente (art. 34); qualora concorrano giustificati motivi. 25 – I lavori della Camera sono divisi in legislature. Ogni legislatura dura cinque anni, ma può essere sciolta anche prima, nel caso stabilito dal presente Statuto. La fine di ciascuna legislatura è stabilita con decreto del Duce, su proposta del Capo del Governo (art. 50). Il decreto fissa anche la data di convocazione dell’Assemblea per ascoltare il discorso del Duce, col quale si inizia la legislatura successiva. 26 – La Camera dei rappresentanti del lavoro collabora col Duce e col Governo per la formazione delle leggi. Per l’esercizio dell’ordinaria funzione legislativa la Camera è periodicamente convocata dal Capo del Governo. 27 – Il potere di proposizione delle leggi spetta al Duce (art. 41) e ai rappresentanti del lavoro (art. 49). 28 – La Camera esercita le sue funzioni per mezzo dell’Assemblea plenaria, della Commissione generale del bilancio e delle Commissioni legislative. 29 – È di competenza esclusiva della Assemblea plenaria la discussione e l’approvazione: 1) dei disegni di legge concernenti: le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo; la facoltà del Governo di emanare norme giuridiche; l’ordinamento professionale; i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; i trattati internazionali che importino variazioni al territorio dello Stato e delle Colonie; l’ordinamento giudiziario, sia ordinario che amministrativo; le deleghe legislative di carattere generale; 2) dei progetti di bilancio e di rendiconto consuntivo dello Stato, delle aziende autonome statali e degli enti pubblici economici di importanza nazionale la cui gestione sia rilevante per il bilancio dello Stato; 3) dei disegni di legge per i quali tale forma di discussione sia richiesta dal Governo o dall’Assemblea, oppure proposta dalle Commissioni e autorizzata dal Capo del Governo; 4) delle proposte di sottoporre alla Costituente la decisione di argomenti di supremo interesse nazionale. 30 – Le sedute dell’Assemblea plenaria sono pubbliche. Però la riunione può esser tenuta in segreto, quando lo richiedano il Capo del Governo o almeno venti [cancellato da Mussolini e corretto con “cinquanta”] dei rappresentanti del lavoro. Le votazioni hanno sempre luogo in modo palese. 31 – Le commissioni legislative sono costituite, in relazione a determinate attività nazionali, dal Presidente della Camera. Esse eleggono nel proprio seno il Presidente; a questo spetta convocarle. 32 – Sono [sic, al posto di “È”] di competenza delle Commissioni la emanazione delle norme giuridiche, aventi oggetto diverso da quello indicato nell’art. 28 e che importano creazione, modifica o perdita dei diritti soggettivi dei cittadini, salvo che la legge ne attribuisca la competenza anche ad altri enti e organi. La legge determina i modi, le forme e i termini per la discussione e l’approvazione dei disegni di legge sottoposti alle Commissioni legislative. 33 – Le deliberazioni dell’Assemblea plenaria e delle Commissioni sono prese a maggioranza assoluta, salvo il caso dell’art. 15. Nessuna deliberazione è valida se non [è] presa con la presenza di almeno due terzi e col voto di almeno la metà dei rappresentanti del lavoro in carica. 34 – La Camera: – provvede alla approvazione e modifica del suo regolamento; – elegge, al principio di ogni legislatura, il proprio Presidente e i Vice-Presidenti. Il Presidente nomina alle altre cariche stabilite dal regolamento della Camera. § II Il Duce della Repubblica Sociale Italiana 35 – Il Duce della Repubblica Sociale Italiana è il Capo dello Stato. Quale supremo interprete della volontà nazionale, che è la volontà dello Stato, realizza in sé l’unità dello Stato. 36 – È eletto dall’Assemblea Costituente. Dura in carica cinque [cancellato da Mussolini e corretto con “sette”] anni. È rieleggibile [Mussolini ha aggiunto le parole “una volta sola”]. 37 – All’atto dell’assunzione delle sue funzioni, deve prestare giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti per la Patria, di servire la Repubblica Sociale Italiana con tutte le sue forze e di ispirarsi in ogni atto del suo ufficio all’interesse supremo della Nazione e alla giustizia sociale. 38 – Il Duce non è responsabile verso alcun altro organo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. 39 – Il Duce comanda tutte le forze armate, in tempo di pace a mezzo del Ministro per la Difesa Nazionale, in tempo di guerra a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale; dichiara la guerra; fa i trattati internazionali, dandone comunicazione alla Costituente o alla Camera dei rappresentanti del lavoro appena che ritenga ciò consentito dai supremi interessi dello Stato. I trattati che importino variazioni nel territorio dello Stato, limitazioni o accrescimenti della sua sovranità o oneri per le finanze, non diventano esecutivi se non dopo avere ottenuto l’approvazione della Costituente o della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi di questa Costituzione. 40 – Il Duce esercita il potere legislativo in collaborazione con il Governo e con la Camera dei rappresentanti del lavoro. 41 – Il Duce convoca ogni anno la Camera. Può prorogarne le sessioni. 42 – Qualora ravvisi il dissenso politico tra il popolo dei lavoratori e la Camera, il Duce può scioglierla, convocandone un’altra nel termine di tre mesi. 43 – Il Duce presenta alla Camera i disegni di legge per mezzo del Governo. 44 – Il Duce sanziona le leggi. 45 – Al Duce appartiene il potere esecutivo. Esso lo esercita direttamente e a mezzo del Governo. Il Duce promulga le leggi. Il Duce nomina a tutte le cariche dello Stato. Con decreto del Duce, sentito il Consiglio dei Ministri, sono emanate le norme giuridiche per disciplinare: 1) l’esecuzione delle leggi; 2) l’uso delle facoltà spettanti al potere esecutivo; 3) l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni dello Stato, e di altri enti pubblici indicati dalla legge. Con decreto del Duce, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, possono emanarsi norme aventi forza di legge: 1) quando il Governo sia a ciò delegato da una legge; 2) nei casi di urgente e assoluta necessità sulla materia di competenza dell’Assemblea generale e delle Commissioni legislative della Camera, nonché per la messa in vigore dei disegni di legge su cui le Commissioni legislative non abbiano deliberato nei termini fissati dalla legge. In questi casi il Decreto del Duce deve essere a pena di decadenza presentato alla Camera, per la conversione in legge, entro sei mesi dalla sua pubblicazione. Se la Camera non l’approvi e decorrano due anni dalla pubblicazione, senza che sia intervenuta la conversione, il decreto cessa di aver vigore. 46 – Il Duce ha il diritto di amnistia, di grazia e di indulto. 47 – Al Duce spetta di istituire ordini cavallereschi e stabilirne gli statuti. 48 – I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Al Duce spetta di conferirne di nuovi. § III Il Governo 49 – Il Governo della Repubblica è costituito dal Capo del Governo e dai Ministri. 50 – Il Capo del Governo è nominato e revocato dal Duce. È responsabile verso il Duce dell’indirizzo generale politico del Governo. 51 – Il capo del Governo dirige e coordina l’opera dei Ministri, convoca il consiglio dei Ministri, ne fissa l’ordine del giorno e lo presiede. 52 – Nessuno oggetto può esser posto all’ordine del giorno della Camera, senza il previo assenso del Capo del Governo. 53 – L’assenso del Capo del Governo è necessario per presentazione alla Camera delle proposte di legge di iniziativa dei rappresentanti del lavoro. 54 – I Ministri sono nominati e revocati dal Duce su proposta del Capo del Governo. Sono responsabili verso il Duce e verso il Capo del Governo di tutti gli atti e provvedimenti dei loro Ministeri. 55 – I sottosegretari di Stato sono nominati e revocati dal Duce, su proposta del Capo del Governo, sentito il Ministro competente. 56 – A giudicare dei reati commessi da un Ministro con abuso delle sue funzioni, è competente la Camera costituita in Corte giurisdizionale. L’azione è esercita da Commissari nominati all’inizio di ogni legislatura e sostituiti in caso di vacanza, dal Presidente della Camera. Contro le sentenze pronunziate dalla Camera come Corte giurisdizionale non è dato alcun ricorso. § IV Le forze armate 57 – Le forze armate hanno lo scopo di combattere per la difesa dell’onore, della libertà e del benessere della Nazione. Esse comprendono l’Esercito, la Marina da guerra, l’Aeronautica. 58 – La bandiera di combattimento per le forze armate è il tricolore, con fregio e una frangia marginale di alloro, e ai quattro lati il fascio repubblicano, una granata, un’àncora e un’aquila. 59 – La coscrizione militare è un servizio d’onore per il popolo italiano, ed un privilegio per la parte più eletta di esso. Tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di servire in armi la Nazione, quando ne abbiano la idoneità fisica e non si trovino nelle condizioni di indegnità morale, stabilite dalla legge. 60 – Al Duce soltanto spettano nei riguardi delle forze armate i poteri di coordinamento; di nomina e di promozione, di ispezione, di dislocazione delle truppe, di mobilitazione. § V La giurisdizione 61 – La giurisdizione garantisce l’attuazione del diritto positivo nello svolgimento dei fatti e dei rapporti giuridici. 62 – Le sentenze sono emanate nel nome della Legge, della quale esse realizzano la volontà. 63 – La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici, collegiali o unici, nominati dal Duce. La loro organizzazione, la loro competenza per materia e per territorio, la procedura che debbono seguire nello svolgimento delle loro funzioni, sono regolate dalla legge. 64 – Una sola Suprema Corte di cassazione è costituita per tutta la Repubblica. Essa ha sede in Roma. Ad essa spetta di assicurare un’uniforme interpretazione e applicazione del diritto da parte dei giudici di merito, e di risolvere i conflitti di attribuzione tra l’autorità giudiziaria e quella amministrativa. 65 – Nell’esercizio delle sue funzioni è garantita piena indipendenza alla magistratura: questa è vincolata dalla legge e soltanto dalla legge. 66 – Nessuno può esser punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite, né senza un giudizio svolto con le regole da essa fissate. 67 – Nei casi che debbono essere determinati con legge approvata dall’Assemblea della Camera, possono essere istituiti tribunali straordinari per un tempo limitato, e per determinati delitti. La giurisdizione dei tribunali militari non può essere estesa a cittadini non in servizio militare se non in tempo di guerra e per i reati espressamente preveduti dalla legge. 68 – Quando lo Stato e gli altri enti pubblici agiscono nel campo del diritto privato sono pienamente soggetti al codice civile e alle altre leggi. 69 – Gli organi amministrativi dello Stato e degli altri enti pubblici debbono ispirarsi nell’esercizio delle loro funzioni alla realizzazione del principio della giustizia nell’amministrazione. 70 – Colui che sia stato leso da un atto amministrativo in suo interesse legittimo, dopo l’esperimento dei ricorsi gerarchici, in quanto ammessi, può proporre contro l’atto stesso ricorso per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza dinanzi agli organi della giustizia amministrativa. Questi, oltre alla generale competenza di legittimità, hanno competenza di merito nei casi stabiliti dalla legge. § VI La difesa della stirpe 71 – La Repubblica considera l’incremento demografico come condizione per l’ascesa della Nazione e per lo sviluppo della sua potenza militare, economica, civile. 72 – La politica demografica della Repubblica si svolge con tre finalità essenziali: numero, sanità morale e fisica, purità della stirpe. 73 – Presupposto della politica demografica è la difesa della famiglia, nucleo essenziale della struttura sociale dello Stato. La Repubblica la attua proteggendo e consolidando tutti i valori religiosi e morali che cementano la famiglia, e in particolare: – col favore accordato al matrimonio, considerato anche quale dovere nazionale e fonte di diritti, perché esso possa raggiungere tutte le sue alte finalità, prima: la procreazione di prole sana e numerosa; – col riconoscimento degli effetti civili al sacramento del matrimonio, disciplinato nel diritto canonico; – col divieto di matrimonio di cittadini italiani con sudditi di razza ebraica, e con la speciale disciplina del matrimonio di cittadini italiani con sudditi di altre razze o con stranieri; – con la tutela della maternità; – con la prestazione di aiuti e assistenza per il sostenimento degli oneri familiari. Speciali agevolazioni spettano alle famiglie numerose. 74 – La protezione dell’infanzia e della giovinezza è un’elevata funzione pubblica, che la Repubblica svolge, anche a mezzo appositi istituti, con l’ingerenza nell’attività educativa familiare (art. 76), con la protezione della filiazione illegittima e con l’assistenza tutelare dei minori abbandonati. § VII L’educazione e l‘istruzione del popolo Sezione I Dell’Educazione 75 – La Repubblica pone tra i suoi principali compiti istituzionali l’educazione morale, sociale e politica del popolo. 76 – L’educazione dei figli, conforme ai principi della morale e del sentimento nazionale, è il supremo obbligo dei genitori. Lo Stato, col rispetto dei diritti e dei doveri della patria potestà, invigila perché l’educazione familiare raggiunga i suoi fini di formare l’onesto cittadino, lavoratore e soldato, e si avvale degli ordinamenti scolastici per integrare e indirizzare l’opera della famiglia. Ove quest’opera manchi, provvede a sostituirla, affidandone lo svolgimento a istituti di pubblica assistenza o a privati. 77 – Organo fondamentale dell’educazione politica del popolo è il Partito fascista repubblicano. Esso è riconosciuto come organo ausiliario dello Stato, e ha quali compiti essenziali: – difendere e potenziare la rivoluzione, secondo i principi della dottrina di cui esso è assertore e depositario; – suscitare e rafforzare nel popolo la coscienza, la passione, la [corretto da Mussolini in “la passione della”] solidarietà nazionale, e il dovere di subordinare tutti gli interessi individuali e collettivi, all’interesse supremo della libertà della Nazione nel mondo; – diffondere nel popolo la conoscenza dei problemi internazionali e interni che interessano l’Italia. 78 – L’iscrizione al P.F.R. non importa alcun privilegio o speciale diritto. Essa importa il dovere di votarsi fino al limite estremo delle proprie forze, con assoluto disinteresse e purità d’intenti, alla causa nazionale. Fuor del campo delle attività aventi carattere preminentemente politico, l’iscrizione al P.F.R. non è condizione né costituisce titolo di preferenza per l’assunzione o la conservazione di impieghi e cariche né per il trattamento morale ed economico dei lavoratori. Sezione II Dell’Istruzione 79 – La scuola si propone la formazione di una cultura del popolo, inspirata agli eterni valori della razza italiana e della sua civiltà. 80 – I programmi scolastici sono fissati in vista della funzione della scuola per l’educazione delle nuove generazioni. 81 – L’accesso agli studi e la loro prosecuzione sono regolati esclusivamente col criterio delle capacità e delle attitudini dimostrate. Collegi di Stato garantiscono la continuazione degli studi ai giovani capaci non abbienti. 82 – L’istruzione elementare, da impartirsi in scuole chiare e salubri, è obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini della Repubblica. 83 – La Repubblica Sociale Italiana considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica: perciò l’insegnamento religioso è obbligatorio nelle scuole pubbliche elementari e medie. La legge può stabilire particolari casi di esenzione. 84 – La fondazione e l’esercizio di istituti privati di istruzione sono ammessi soltanto previa autorizzazione dello Stato e sotto controllo di questo sull’organizzazione, i programmi e la capacità morale e formazione scientifica degli insegnanti. § VIII L’amministrazione locale 85 – I Comuni e le Province sono enti ausiliari dello Stato. La loro istituzione e le loro circoscrizioni sono regolate dalla legge. 86 – I Comuni e le Province hanno come fine esclusivo la tutela degli interessi amministrativi dei cittadini che loro appartengono. A tal fine sono muniti dallo Stato di poteri, che debbono esercitare coordinandoli e subordinandoli agli interessi superiori della Nazione. Nello svolgimento delle loro funzioni i Comuni e le Province agiscono in modo autonomo, secondo i principi del decentramento amministrativo, ma sono sottoposti al controllo di legittimità e, nei casi stabiliti dalla legge, al controllo di merito degli organi diretti dallo Stato. 87 – Gli organi dell’amministrazione autonoma locale sono stabiliti dalla legge. I Consigli comunali e provinciali sono eletti col sistema del suffragio universale diretto dai cittadini lavoratori residenti domiciliati nel territorio del Comune o della Provincia. 88 – I Consigli eleggono nel loro seno il Podestà del Comune e il Preside della Provincia. La legge stabilisce le cause di incapacità, ineleggibilità, incompatibilità per le nomine a Podestà o a Preside. Tali nomine sono soggette all’approvazione dello Stato, da darsi con decreto del Duce. Capo III Diritti e doveri del cittadino 89 – La cittadinanza italiana si acquista e si perde alle condizioni e nei modi stabiliti dalla legge, sulla base del principio che essa è titolo d’onore da riconoscersi e concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana. In particolare la cittadinanza non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore. 90 – I sudditi di razza non italiana non godono del diritto di servire l’Italia in armi, né, in genere, dei diritti politici: godono dei diritti civili entro i limiti segnati dalla legge, secondo il criterio della loro esclusione da ogni attività, culturale ed economica, che presenti un interesse pubblico, anche se svolgentesi nel campo del diritto privato. In quanto non particolarmente disposto vale per essi, in quanto applicabile, il trattamento riservato agli stranieri. 91 – Fondamentale dovere del cittadino è quello di collaborare con tutte le sue forze, e in ogni campo della sua attività, al raggiungimento dei fini supremi della Repubblica Sociale Italiana, accettando volenterosamente e disciplinatamente, gli oneri, le restrizioni ed i sacrifici che rispondono alle esigenze nazionali, per il principio che non può essere veramente libero se non il cittadino della Nazione libera. 92 – Tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. 93 – I diritti civili e politici sono attribuiti a tutti i cittadini. Ogni diritto soggettivo, pubblico e privato, importa il dovere dell’esercizio in conformità del fine nazionale per cui è concesso. A questo titolo lo Stato ne garantisce e tutela l’esercizio. 94 – La libertà personale è garantita. Nessuno può essere arrestato se non nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge. Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, può esser trattenuto oltre tre giorni senza un ordine dell’autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge. 95 – Il domicilio è inviolabile. Tranne i casi di flagranza, nessuna visita o perquisizione domiciliare è consentita senza ordine dell’autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge. 96 – A ogni cittadino deve esser assicurata la facoltà di controllo, diretto o a traverso i suoi rappresentanti, e di responsabile critica sugli atti politici e su quelli della pubblica amministrazione, nonché sulle persone che li compiono o vi sono preposte. 97 – La libertà di parola, di stampa, d’associazione, di culto è riconosciuta dalla Repubblica come attributo essenziale della personalità umana e come strumento utile per gli interessi e per lo sviluppo della Nazione. Deve esser garantita fino al limite in cui è compatibile con le preminenti esigenze dello Stato e con la libertà degli altri individui. 98 – L’organizzazione politica è libera. I partiti possono esplicare la loro attività di propaganda delle loro idee e dei loro programmi, purché non in contrasto con i fini supremi della Repubblica. 99 – L’organizzazione professionale è libera. Ma soltanto la Confederazione unitaria del lavoro della tecnica e delle arti, o le associazioni ad essa aderenti e riconosciute dallo Stato, rappresentano legalmente gli interessi di tutte le categorie produttive e sono munite di pubblici poteri per lo svolgimento delle loro funzioni. 100 – È vietata, salva la preventiva autorizzazione dello Stato nel territorio della Repubblica la costituzione di associazioni aderenti a organizzazioni sindacali o politiche straniere o internazionali, o che ne costituiscano sezioni o comunque conservino con esse collegamenti. 101 – È vietata nel territorio della Repubblica la costituzione di società segrete. Capo IV Struttura dell’economia nazionale § I La produzione e il lavoro Sezione I La Produzione 102 – Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale. Suoi obiettivi sono il benessere dei singoli e lo sviluppo della potenza della Nazione. 103 – Nel campo della produzione la Repubblica si propone di conseguire l’indipendenza economica della Nazione, condizione e garanzia della sua libertà politica nel mondo. A tale scopo la Repubblica, oltre a promuovere in tutti i modi l’aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi, fissa, a mezzo dei suoi organi e degli enti idonei, le direttive e i piani generali della produzione nazionale o di settori di questa. All’osservanza di tali direttive e al successo di tali piani sono impegnati tutti i lavoratori, sia nella determinazione degli indirizzi, che nello svolgimento dell’attività produttiva. 104 – Nei rapporti tra le categorie dei vari rami della produzione nazionale, come nel seno di ogni singola impresa, si attua la collaborazione dei diversi fattori della produzione tra loro, il contemperamento dei loro interessi, la loro subordinazione agli interessi superiori della Nazione. 105 – La Repubblica considera la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio individuale, come completamento e mezzo di esplicazione della personalità umana, e ne riconosce la funzione sociale e nazionale, quale un mezzo efficace per sviluppare e moltiplicare la ricchezza e per porla a servizio della Nazione. A questi titoli la Repubblica rispetta e tutela il diritto di proprietà privata e ne garantisce l’esercizio e i trasferimenti sia per atto fra i vivi che per successione legittima o testamentaria, secondo le regole stabilite dal codice civile e dalle altre leggi. 106 – La Repubblica protegge con particolare cura la proprietà rurale, di interesse vitale per l’economia nazionale e per la sanità morale e fisica della stirpe. Perciò favorisce con ogni mezzo il ritorno ai campi, con la costruzione di case coloniche, con le agevolazioni all’acquisto della piccola proprietà rurale da parte del più gran numero di lavoratori, coltivatori diretti. Nei trasferimenti di terreni coltivabili o coltivati non può farsi luogo a frazionamenti che non rispettino l’unità colturale necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola o per una conveniente coltivazione. 107 – Si può procedere all’espropriazione della proprietà privata per pubblico interesse, nei casi legalmente accertati di pubblica utilità e quando il proprietario abbandoni o trascuri l’esercizio del diritto in modo dannoso per l’economia nazionale. Si può altresì disporre il trasferimento coattivo della proprietà, quando sia di pubblico interesse assegnarne l’esercizio a persone o enti più adatti, ma solo nelle ipotesi espressamente stabilite dalla legge. Sia in caso di espropriazione che di trasferimenti coattivi nel pubblico interesse è dovuta al proprietario una congrua indennità conformemente alle leggi. 108 – La Repubblica considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più utile nell’interesse della Nazione, e pertanto la favorisce e la controlla. 109 – L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l’organizzatore dell’impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte alla Repubblica. 110 – L’intervento dello Stato nella gestione di imprese economiche ha luogo nei casi in cui siano in giuoco interessi politici dello Stato, nonché per controllare l’iniziativa privata e per incoraggiarla, integrarla e, quando sia necessario, sostituirla se essa si dimostri insufficiente o manchi. 111 – La Repubblica assume direttamente la gestione delle imprese che controllino settori essenziali per la indipendenza economica e politica del Paese, nonché di imprese fornitrici di prodotti e servizi indispensabili a regolare lo svolgimento della vita economica del Paese. La determinazione delle imprese che si trovino in tale situazione è fatta per legge. 112 – In caso di assunzione della gestione di imprese private, per insufficienza della loro iniziativa, lo Stato la affida ad altro gestore privato, oppure, ma soltanto per il periodo in cui ciò non sia possibile o conveniente, a speciali enti pubblici. Sezione II Il Lavoro 113 – I1 lavoro è il soggetto e il fondamento dell’economia produttiva. 114 – Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali è un dovere nazionale. Soltanto il cittadino che adempie il dovere del lavoro ha la pienezza della capacità giuridica, politica e civile. 115 – Come l’adempimento del dovere di svolgere l’attività lavorativa secondo le capacità e attitudini di ognuno è pari titolo di onore e di dignità, così la Repubblica assicura la piena uguaglianza giuridica di tutti i lavoratori. 116 – La Repubblica garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l’organizzazione e l’incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della domanda e dell’offerta di lavoro. Il collocamento dei lavoratori è funzione pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici dall’organizzazione professionale riconosciuta. 117 – Poiché la attuazione, rigorosa e inderogabile, delle condizioni fondamentali costituenti garanzia del lavoro è di preminente interesse pubblico, la disciplina del rapporto di lavoro è affidata alla legge o alle norme da emanarsi dall’organizzazione professionale riconosciuta. Tali norme si inseriscono automaticamente nei contratti individuali, i quali possono contenere norme diverse ma soltanto più favorevoli al lavoratore. 118 – La retribuzione del prestatore di lavoro deve corrispondere alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. Oltre alla retribuzione normale saranno corrisposti al lavoratore anche nello spirito di solidarietà tra i vari elementi della produzione, assegni in relazione agli oneri familiari. 119 – L’orario ordinario di lavoro non può superare le 44 ore settimanali e le 8 ore giornaliere, salvo esigenze di ordine pubblico per periodi determinati e per settori produttivi da stabilirsi per legge. La legge o le norme emanate dalle associazioni professionali riconosciute stabiliscono i casi e i limiti di ammissibilità del lavoro straordinario e notturno e la misura della maggiorazione di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario. 120 – Il lavoratore ha diritto a un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica e a un periodo annuale di ferie retribuito. 121 – Ogni lavoratore ha diritto a sciogliere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Se il licenziamento avviene senza sua colpa, il lavoratore ha diritto, oltre a un congruo preavviso, a un’indennità proporzionata agli anni di servizio. 122 – In caso di morte del lavoratore, quanto a questo spetterebbe se fosse licenziato senza sua colpa, spetta ai figli, al coniuge, ai parenti conviventi a carico o agli eredi, nei modi stabiliti dalla legge. 123 – La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione tra tutti gli elementi della produzione, che debbono concorrere agli oneri di essa. La Repubblica coordina e integra tale azione di previdenza, a mezzo dell’organizzazione professionale, e con la costituzione di speciali Istituti per l’incremento e la maggiore estensione delle assicurazioni sociali. L’opera convergente dello Stato e delle categorie interessate deve garantire a tutti i lavoratori piena assistenza per la vecchiaia, l’invalidità, gli infortuni sul lavoro, le malattie, la gravidanza e puerperio, la disoccupazione involontaria, il richiamo alle armi. 124 – Allo scopo di dare e accrescere la capacità tecnica e produttiva e il valore morale dei lavoratori e di agevolare l’azione selettiva tra questi, la Repubblica anche a mezzo dell’associazione professionale riconosciuta, promuove e sviluppa l’istruzione professionale. § II La gestione socializzata dell’impresa 125 – La gestione dell’impresa, sia essa pubblica che privata, è socializzata. Ad essa prendono parte diretta coloro che nell’impresa svolgono, in qualunque forma, una effettiva attività produttiva. 126 – Ogni impresa ha un capo, responsabile di fronte allo Stato, politicamente e giuridicamente, dell’andamento della produzione e della disciplina del lavoro nell’impresa. 127 – Il capo dell’impresa pubblica è nominato dal Governo. 128 – Il capo dell’impresa privata è l’imprenditore. Imprenditore è colui che ha organizzato l’impresa, determinandone l’oggetto e lo scopo economico, o colui che ne ha preso posto. Nelle imprese individuali o ad amministratore unico, il capo dell’impresa è il titolare o l’amministratore unico. Nelle imprese con organo amministrativo collegiale il capo dell’impresa è stabilito, dallo statuto o dall’atto costitutivo, nella persona del Presidente del Consiglio di amministrazione o dell’Amministratore delegato o di un tecnico, che può essere estraneo al Consiglio, e a cui si conferiscono le funzioni di Direttore generale. 129 – Le aziende pubbliche sono amministrate da un Consiglio di gestione eletto dai lavoratori dell’impresa, operai, impiegati tecnici. Il Consiglio di gestione decide su tutte le questioni inerenti all’indirizzo e allo svolgimento della produzione dell’impresa nel quadro del piano unitario nazionale determinato dalla Repubblica a mezzo dei suoi competenti organi; forma il bilancio dell’impresa e delibera la ripartizione degli utili determinando la parte spettante ai lavoratori; decide sulle questioni inerenti alla disciplina e alla tutela del lavoro. 130 – Nelle imprese private, degli organi collegiali di amministrazione, formati secondo la legge, gli atti costitutivi e gli statuti fanno parte i rappresentanti degli operai, impiegati e tecnici dell’impresa in numero non inferiore a quello dei rappresentati eletti dall’assemblea dei portatori del capitale sociale, e uno o più rappresentanti dello Stato qualora esso partecipi alla formazione del capitale. 131 – Nelle imprese individuali e in quelle per le quali l’atto costitutivo e gli statuti prevedano un amministratore unico, qualora esse impieghino complessivamente almeno cinquanta lavoratori, verrà costituito un consiglio di operai, impiegati e tecnici dell’impresa di almeno tre membri. Il Consiglio collabora col titolare dell’impresa e con l’amministratore unico alla gestione dell’impresa. Deve esser sentito per la formazione del bilancio e per le decisioni che importino trasformazione della struttura, della forma giuridica e dell’oggetto dell’impresa. 132 – In ogni impresa, che occupi più di dieci lavoratori, si costituisce il consiglio di fabbrica, eletto da tutti gli operai, impiegati e tecnici, il quale partecipa alla formazione dei regolamenti interni e alla risoluzione delle questioni che possano sorgere nella loro applicazione. Nelle imprese in cui non vi sia un organo collegiale, di amministrazione né il consiglio dei lavoratori, il capo dell’impresa deve sentire il parere del consiglio di fabbrica nelle questioni riguardanti la disciplina del lavoro, e può sentirlo nelle altre questioni che egli intenda di sottoporgli. 133 – La legge, in relazione alla situazione economica, stabilisce i limiti massimi e i modi con cui può esser determinato il compenso al capitale impiegato nell’impresa, in generale o per i vari tipi di esse. Entro questi limiti e nei modi consentiti la determinazione del compenso è stabilita convenzionalmente. 134 – Gli utili dell’impresa, dopo la deduzione del compenso dovuto al capitale, sono distribuiti tra il capo, gli amministratori e gli operai, impiegati e tecnici dell’impresa, nelle proporzioni fissate per legge, per norma collettiva o, in mancanza degli atti costitutivi, dagli statuti e dalle deliberazioni degli organi di gestione. La parte degli utili non distribuita, è assegnata alla riserva nei limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge, e se vi sia ancora un’eccedenza, questa è devoluta allo Stato che l’amministra o la impiega per scopi di carattere sociale. § III L’organizzazione professionale 135 – Tutte le categorie di prestatori d’opera e di lavoratori, operai, impiegati, dirigenti, di artigiani, di imprenditori, di professionisti e gli artisti sono organizzati in un’organizzazione professionale nazionale. Nel seno dell’organizzazione unica possono formarsi sezioni per le varie branche della produzione e per le varie categorie professionali. 136 – L’associazione professionale unica si ispira ai principi della Repubblica Sociale Italiana e ne cura l’attuazione nel campo dell’economia nazionale: essa costituisce l’organizzazione giuridica a traverso la quale si opera la trasformazione di tutte le forze della produzione in forze nazionali, e si realizza la loro partecipazione stabile alla costituzione e alla vita dello Stato. 137 – L’organizzazione professionale unica ha l’esclusiva integrale rappresentanza degli interessi delle categorie in essa organizzate. In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi delle categorie produttive, considerate nella loro funzione nazionale, di supremo interesse statale, essa è giuridicamente riconosciuta come ente ausiliario dello Stato. 138 – L’associazione professionale unica ha come precipui compiti istituzionali, che essa può assolvere anche a traverso le associazioni che si formino nel suo seno: tutelare gli interessi delle categorie rappresentate, contemperandoli tra loro e subordinandoli ai fini superiori della Nazione; promuovere in tutti i modi l’incremento qualitativo e quantitativo della produzione, e la riduzione dei costi e dei prezzi di beni e servizi, nell’interesse dei produttori e dei consumatori; curare che gli appartenenti alle categorie produttive si uniformino, nell’esercizio della loro attività, ai principi dell’ordinamento sociale nazionale e agli obblighi che vi derivano; assicurare l’uguaglianza giuridica tra i vari elementi della produzione, suscitarne e rafforzarne la solidarietà tra loro e verso la Nazione; promuovere ed attuare provvedimenti e istituti di previdenza sociale fra i produttori; coltivare l’istruzione, specialmente professionale, e l’educazione morale, politica e religiosa degli appartenenti alle categorie; prestare assistenza ai produttori rappresentati; in genere svolgere tutte le altre funzioni utili al mantenimento della disciplina della produzione e del lavoro. 139 – All’associazione professionale unica, per l’assolvimento dei suoi compiti lo Stato affida l’esercizio di poteri: a) normativo, per cui, nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge, essa detta norme giuridiche obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro e può dettare, ove se ne verifichi la necessità, norme giuridiche obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi economici ai fini del coordinamento della produzione; b) fiscale, per cui, onde sostenere le spese obbligatorie facoltative connesse alle sue funzioni, può imporre contributi a tutti i lavoratori rappresentati nella misura massima stabilita dalla legge procedendo all’esazione colle procedure e i privilegi per la riscossione delle imposte; c) conciliativo, per cui deve esperire il tentativo di conciliazione nelle controversie individuali e collettive relative ai rapporti di lavoro e all’applicazione delle norme collettive economiche da esso emanate: tale tentativo di conciliazione costituisce un presupposto necessario per la proposizione delle relative controversie giudiziarie; d) disciplinare, per cui può infliggere ai rappresentati sanzioni disciplinari determinate nello Statuto dell’associazione, per inosservanza ai doveri nascenti dall’ordinamento sociale nazionale; al fine di accertare tali eventuali inosservanze essa può disporre gli opportuni controlli, a mezzo di propri organi e dei fiduciari di fabbrica, ove siano istituiti; e) consultivo, per cui il suo parere deve esser sentito dalle amministrazioni dello Stato, nelle materie interessanti la disciplina della produzione e del lavoro. 140 – Nello svolgimento delle sue funzioni la Confederazione unica gode di piena autonomia. I suoi atti sono solamente sottoposti al controllo di legittimità, e le persone al controllo politico dello Stato, a mezzo degli organi designati dalla legge. 141 – Per la risoluzione delle controversie collettive relative alla formazione, alla revisione o alla interpretazione delle norme collettive di lavoro o alla interpretazione delle norme collettive economiche, emanate dall’organizzazione professionale riconosciuta è istituita la Magistratura del Lavoro, organo della Magistratura ordinaria. La Magistratura del Lavoro è costituita da tre giudici dell’ordine giudiziario e da due giudici esperti, da scegliere in appositi albi da tenersi nei modi stabiliti dalla legge. Alla proposizione delle azioni per la risoluzione delle controversie collettive è legittimata soltanto l’Associazione professionale riconosciuta o, previa autorizzazione, le associazioni ad essa aderenti. In mancanza, l’azione può essere proposta dal Pubblico Ministero, il cui ricorso deve esser notificato alla Associazione professionale riconosciuta, che può intervenire nel giudizio. Nelle controversie collettive promosse dalla Associazione professionale, l’intervento del Pubblico Ministero è obbligatorio a pena di nullità. Le decisioni della Magistratura del Lavoro in sede di controversie collettive hanno la stessa efficacia delle norme collettive emanate dalla organizzazione professionale riconosciuta. Tali decisioni non possono essere impugnate se non per errori di procedura dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. 142 – Poiché l’ordinamento giuridico della Repubblica fornisce tutti i mezzi per la composizione equa e pacifica di ogni controversia collettiva nel campo del lavoro e della produzione, lo sciopero, la serrata, l’inosservanza delle norme collettive ed economiche e delle sentenze della Magistratura del Lavoro, e in genere tutti gli altri atti di lotta sociale, sono puniti quali delitti contro l’economia nazionale. Tra parentesi sono riportate le modifiche apportate da Mussolini di suo pugno.

Gli Arditi ricordano Ettore Muti.

lunedì 23 luglio 2012

Inno delle Brigate Nere.

Inno delle Brigate Nere Con la stessa melodia dell'Inno degli Arditi, ca. 1920 Brigate nere, avanguardia di morte siam vessillo di lotte e di orror, siamo l'orgoglio trasformato in coorte per difendere d'Italia l'onor. Viva l'Italia! Fascisti, a noi! Il Fascio è simbolo di tanti Eroi Brigate nere, dai saldi cuori contro i nemici di dentro e di fuori! Come una rapida freccia che scocca scatta il pugnale che sa vendicar; siamo Fascisti, guai a chi ci tocca, ogni nemico facciamo tremar! Viva l'Italia! Fascisti, a noi! Il Fascio è simbolo di tanti Eroi Brigate nere, dai saldi cuori contro i nemici di dentro e di fuori!

Rari manifesti della X MAS della RSI.

FASCISTI veri!

Fascisti veri. Da sinistra: il Comandante ARMANDO SANTORO, Presidente della Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana e della Associazione Fiamme Nere (già Volontario nella Legione Autonoma Ettore Muti) ed il Camerata SERGIO SPINELLI (già Volontario nelle Fiamme Bianche della RSI e poi dirigente del Movimento Sociale Italiano).
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