giovedì 16 gennaio 2014

Storia della RSI



La Repubblica Sociale Italiana fu uno Stato perfettamente organizzato: ebbe una organizzazione burocratica completa ed efficiente, la funzione legislativa produsse leggi importantissime, specie in campo sociale, tutti i Ministeri (difesa, interni, finanze, istruzione, lavori pubblici…) lavorarono a pieno ritmo, ebbe un esercito efficiente, costituito in gran parte da giovani volontari entusiasti e determinati, che seppe difendere con valore il territorio della Repubblica a fianco dell’alleato germanico, resistendo efficacemente all’offensiva anglo-americana, sulla “linea gotica”, per sei lunghi mesi. Ebbe anche una diplomazia attiva ed efficiente, che curò attivamente i rapporti con gli Stati alleati o che, comunque, avevano riconosciuto la R.S.I. : Germania, Giappone, Spagna e altri. La R.S.I. che, come tutti gli Stati sovrani, aveva il totale controllo del suo territorio sul quale, attraverso i suoi Ministeri, organizzava tutti i servizi necessari.
D’altra parte lo stesso Tribunale Supremo Militare dell’attuale Repubblica Italiana cui erano ricorsi alcuni ufficiali della Legione “Tagliamento” che erano stati condannati dal Tribunale Militare di Milano, con sentenza n. 747 del 26 aprile 1954, afferma con chiarezza e con alto senso giuridico e storico la caratteristica di Stato sovrano, sia pure “di fatto” della Repubblica Sociale Italiana.
Durante il periodo della R.S.I. furono perfino istituiti due Ordini Cavallereschi di Stato.
Il 14 maggio 1943 la radio annunciava: “Ogni resistenza è cessata in Tunisia per ordine del Duce”. Questo significava che l’ultimo lembo d’Africa era stato perduto dalle forze dell’Asse. Il Gen. Messe, infatti, si era arreso dopo un’ultima disperata resistenza contro le armate anglo-americane che assalivano le nostre truppe dalla Libia e dall’Algeria. Le sorti della guerra volgono al peggio. Ora è il territorio italiano esposto agli attacchi nemici.
L’ 11 giugno 1943 si arrende Pantelleria, e il 12 Lampedusa, rimaste senza rifornimenti.
E nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 scatta l’ ”Operazione Husky” : le armate settima americana agli ordini del Gen. Patton (66000 uomini) e ottava inglese agli ordini del Gen. Montgomery (100000 uomini) sbarcano nella Sicilia sud-orientale sopraffacendo le nostre difese.
Il 17 il Generale Alexander assume la carica di governatore delle terre occupate.
Il 22 cade Palermo. La Sicilia è ormai perduta. La popolazione, messa alla fame, si lamenta con scritte sui monumenti (“ cu Mussolino ogni casa un mulino, cull’americani ni pasta ni pani”).
(La notizia che tutti i siciliani avrebbero accolto con gioia gli anglo-americani acclamandoli è sicuramente non vera. Infatti un po’ in tutto il sud si ebbe una vera e propria resistenza fascista.)
Questo è lo sconfortante quadro della situazione militare, che incide pesantemente sul morale della popolazione e dell’esercito, e crea diffuse inquietudini a livello politico, anche all’interno del Fascismo.
Il 19 luglio 1943 a Feltre avviene un incontro fra Mussolini e Hitler, durante il quale Hitler accusa pesantemente l’esercito italiano di scarsa combattività.
A rendere più angosciosa la situazione Mussolini riceve, durante l’incontro, la notizia del bombardamento di Roma.


Il 25 luglio e l’arresto di Mussolini
 

La situazione politica è tesa. Diversi uomini politici, anche fascisti, hanno contatti col re Vittorio Emanuele III e lo sollecitano ad assumersi personalmente il comando dell’esercito e la responsabilità della conduzione della guerra. Il re tentenna.
E alcuni uomini politici fascisti, fra cui Grandi, chiedono la convocazione del Gran Consiglio del Fascismo. E il Segretario Nazionale Carlo Scorza, d’accordo con Mussolini, lo convoca per il 24 luglio alle ore 17.
Dopo la relazione di Mussolini e alcuni interventi, prende la parola Grandi per illustrare il suo ordine del giorno che propone, in estrema sintesi, di mettere la situazione nelle mani del re. Mussolini avverte che l’approvazione di quell’ O.d.G. metterebbe in crisi il regime e propone di rinviare la discussione, data anche l’ora ormai tarda. Ma Grandi e altri chiedono di andare avanti. Sono ormai passate le ore 2 del 25 luglio allorchè si passa alla votazione degli O.d.G. Quello di Grandi viene approvato con 19 sì, 7 no e 1 astenuto (Giacomo Suardo) Farinacci, il 28° membro, vota il proprio O.d.G. Sono le ore 2,40 del 25 luglio 1943. Alle ore 3,30 Grandi incontra Acquarone, ministro della real casa e lo informa dell’accaduto.
La mattina del 25 trascorre senza che nulla accada. Mussolini si reca a Palazzo Venezia come di consueto e sbriga le cose correnti. Però chiede al re di anticipare alle ore 17 di quello stesso giorno, domenica, la consueta udienza settimanale del lunedì.
E alle 17 va dal Re. Non si sa molto del colloquio, nel quale il re comunica a Mussolini che lo sostituirà con Badoglio. Il colloquio, però, si conclude con una cordiale stretta di mano. Certo Mussolini non poteva immaginare che, uscito dalla sala dell’udienza, avrebbe trovato i carabinieri incaricati di arrestarlo.
Portato dapprima nella caserma della Legione Allievi Carabinieri di Via Legnano a Roma-Prati dove rimarrà tre notti, verrà poi, il 28 luglio, imbarcato a Gaeta sulla corvetta Persefone e trasferito prima a Ventotene poi a Ponza, ove giungerà alle ore 13. Da qui, nella notte fra il 6 e il 7 agosto, con la corvetta Pantera verrà condotto alla Maddalena nella Villa Weber, ove rimarrà fino al 28 agosto. In quella data con un idrovolante verrà condotto a Vigna di Valle sul lago di Bracciano e, da qui, ad Assergi, nei pressi della funivia per il Gran Sasso. E nella Villetta del Gran Sasso, all’inizio della funivia, rimarrà fino al 3 settembre. Finchè verrà condotto a Campo Imperatore sul Gran Sasso e qui tenuto prigioniero nella camera 201 di quell’albergo.


Il governo Badoglio e l’8 settembre


Il re affida l’incarico di formare il nuovo governo al Generale Pietro Badoglio che annuncia subito che la guerra continua a fianco dell’alleato germanico e vieta qualsiasi manifestazione. In realtà egli avvia da subito contatti con gli anglo-americani per trattare le condizioni di un armistizio. Le trattative proseguono ma gli alleati anglo-americani vogliono la resa senza condizioni.
E il 3 settembre 1943 a Cassibile, presso Siracusa, il Gen. Castellano firma l’armistizio. Lo stesso giorno gli alleati sbarcano in Calabria e cominciano a risalire la penisola. Badoglio e il re, che temono le reazioni della Germania, cui fino all’ultimo si è giurata amicizia e rispetto del patto di alleanza, vorrebbero ritardare l’annuncio dell’armistizio (intanto, ad armistizio già firmato, i bombardieri americani continuano a seminare morte in Italia), ma la radio americana, alle ore 17,45 dell’8 settembre diffonde la notizia. E due ore dopo anche Badoglio è costretto a dare l’annuncio. Alle 19,45 di quel mercoledì 8 settembre la sua voce registrata scandiva alla radio : “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.”
Subito dopo fugge con il re, la sua famiglia e alcuni generali e il 9 è a Brindisi, in territorio già occupato dagli ex-nemici.
L’esercito italiano, lasciato senza ordini, si disperde, la flotta, ancora in piena efficienza, vergognosamente va a Malta a consegnarsi agli inglesi. Molti italiani sono indignati e non riescono ad accettare la resa ignominiosa. Il comandante Fecia di Cossato, eroico sommergibilista atlantico, non reggerà alla vergogna e il 27 agosto 1944 a Napoli si toglierà la vita lasciando scritto alla madre “siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad avere commesso un gesto ignobile…” Lo stesso Eisenhower nel suo “Diario di guerra” scrisse: “…la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della R.S.I.”.
In effetti quando all’armistizio “corto” firmato il 3 settembre e che constava di soli 12 articoli e contemplava soltanto la cessazione delle attività militari, seguì l’armistizio “lungo” firmato da Badoglio a Malta sulla nave “Nelson” il 29 settembre (erano presenti Badoglio, Ambrosio, Roatta, Sandalli, De Courten per il regno del Sud ed Eisenhower, Cunningham e altri per gli alleati), ci si rese conto della eccezionale durezza delle condizioni: Il nuovo testo, composto da 44 minuziosi articoli, stabiliva che al governo italiano veniva tolta, praticamente, ogni potestà. Tutto, assolutamente tutto, doveva passare sotto il controllo degli anglo-americani, che imposero, addirittura, delle modifiche legislative. In pratica l’Italia del sud perdeva ogni sovranità.
E i tedeschi, che, dopo l’arresto di Mussolini avevano fatto affluire numerose truppe, catturano e deportano in Germania molti sbandati. Regna il caos. Modesti tentativi di resistenza ai tedeschi si hanno a Roma ma cessano subito. Il 10 settembre il Gen. Carboni si arrende ai tedeschi.
Il 13 ottobre Badoglio, contraddicendo clamorosamente la sua dichiarata volontà di voler ottenere la pace, dichiara guerra ai tedeschi.
Il 12 settembre un audace commando di SS atterra con degli alianti a Campo Imperatore e libera il Duce. Il comportamento del Gen. Fernando Soleti e dei carabinieri di guardia evita il conflitto e ogni spargimento di sangue. Una “Cicogna”, piccolo apparecchio da ricognizione, lo conduce a Roma da dove, su un aereo militare, raggiunge Monaco di Baviera.
Alcune fonti ritengono che Mussolini, stanco e sfiduciato, avrebbe considerato anche la possibilità di ritirarsi, ma avrebbe poi accettato, su insistenza di Hitler, di creare il nuovo stato per evitare all’Italia le probabili rappresaglie dei tedeschi, furiosi per il vile tradimento.
il 15 settembre 1943 Mussolini emette e comunica via radio 5 Ordini del Giorno:

1) Ai fedeli camerati di tutta Italia. Da oggi, 15 settembre 1943, assumo di nuovo la suprema direzione del Fascismo in Italia.

2) Nomino Alessandro Pavolini alla carica provvisoria di segretario del Partito Nazionale Fascista, che da oggi si chiamerà Partito Fascista Repubblicano.

3) Ordino che tutte le autorità militari politiche amministrative e scolastiche, nonché tutte quelle che vennero esonerate dalle loro funzioni da parte del Governo della capitolazione, riprendano immediatamente i loro posti e i loro uffici.

4) Ordino l’immediato ripristino di tutte le istituzioni del Partito con i seguenti compiti:
a) di appoggiare efficacemente e cameratescamente l’Esercito germanico che si batte sul territorio contro il comune nemico;
b) di dare al popolo l’immediata effettiva assistenza morale e materiale;
c) di riesaminare la posizione dei membri del Partito in rapporto al loro contegno di fronte al colpo di stato della capitolazione e del disonore, punendo esemplarmente i vili traditori.

5) Ordino la ricostruzione di tutti i reparti e le formazioni speciali della Milizia Volontaria per la Sicurezza dello Stato.

Il 16 settembre, poi, detta l’O.d.G. n. 6:

6) “Completando gli ordini del giorno precedenti ho incaricato il Luogotenente Generale Renato Ricci del comando in capo della M.V.S.N.”

E, il 17 settembre detta l’O.d.G. n. 7 :

7) “Il P.F.R. libera gli ufficiali delle forze armate dal giuramento prestato al Re, il quale, capitolando alle condizioni ben note e abbandonando il suo posto, ha consegnato la nazione al nemico e l’ha trascinata nella vergogna e nella miseria”.

Il 18 settembre Mussolini parla da Radio Monaco, e gli italiani possono riudire la voce ben nota (anche se la qualità dell’ascolto è pessima). Egli, dopo aver sottolineato la bassezza del tradimento di Casa Savoia, che con la sua fuga ha perso ogni diritto di regnare, richiama le tradizioni repubblicane italiane e Giuseppe Mazzini e riafferma la volontà di costituire un nuovo Stato Repubblicano che sarà “nazionale e sociale nel senso più lato della parola; sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini.” Tale stato ricostituirà un proprio esercito e riprenderà la lotta a fianco dell’ alleato germanico.
I fascisti, che fin dal 9 settembre avevano riaperto molte sedi, si riorganizzarono rapidamente. Il 1 marzo 1944 Pavolini, in una relazione a Mussolini, comunicherà che “sono stati ricostituiti 1072 Fasci con 487.000 iscritti”. Roma ne contò 35.000, Milano 20.000, Ferrara, dopo la morte di Ghisellini 14.000.
Il 22 febbraio 1944 il Duce nominerà il nuovo Direttorio del P.F.R. Esso è composto da: Pietro Asti, Fulvio Balisti, Carlo Borsani, Alfredo Cucco, Giuseppe Dongo, Franco Corrado Marina, Giulio Gai, Carlo Gigliolo, Bruno Gemelli, Gino Meschiari, Franz Pagliani, Alessandro Palladini, Giuseppe Pizzirani, Sergio Stoppiani, Leo Todeschini, Agostino Vandini, Aldo Vidussoni.
Il 23 settembre Mussolini rientra in Italia e, alla Rocca delle Caminate, sua residenza personale, costituisce il Governo della nuova Repubblica. Il giorno 23 stesso alle ore 14 si ha, nella sede dell’ambasciata germanica a Roma, la prima breve riunione del governo, presieduta da Pavolini.
Il nuovo stato si chiamerà Repubblica Sociale Italiana (Tale denominazione, però, verrà deliberata dal Consiglio dei Ministri il 24 novembre 1943). Essa avrà Mussolini come Capo dello Stato e del governo e Ministro degli Esteri.
Il 28 settembre inizia il funzionamento del nuovo Stato. In quella data, infatti, ha luogo la prima riunione del Consiglio dei Ministri al completo. Queste le prime cinque deliberazioni:

1) A seguito della conferma della dichiarazione di città aperta per Roma, il Governo fissa la propria sede in altra località presso il Quartiere Generale delle Forze Armate.

2) L’attuale senato di nomina regia è disciolto ed abolito. La Costituente prenderà in esame la opportunità della sua eventuale ricostruzione secondo gli ordinamenti del nuovo Stato Fascista Repubblicano.

3) Nella riorganizzazione in atto delle Forze Armate, le forze terrestri, marittime ed aeree vengono rispettivamente inquadrate nella Milizia, nella Marina, e nell’Aeronautica dello Stato Fascista Repubblicano. Il reclutamento avviene per volontariato e per coscrizione. Per gli ufficiali e i sottufficiali, mentre sono rispettati i diritti acquisiti, il trattamento morale ed economico viene adeguato all’alto compito di un moderno organismo militare ed alle nuove esigenze della vita sociale.

4) In conformità dell’indirizzo di politica sociale perseguita dal P.F.R., e quale necessaria premessa per le ulteriori e rapide realizzazioni, viene decisa la fusione delle Confederazioni Sindacali in una sola Confederazione Generale del Lavoro e della Tecnica. La Confederazione opera nell’ambito e nel clima del Partito il quale le conferisce tutta la propria forza rivoluzionaria.

5) La commissione per l’accertamento degli illeciti arricchimenti dei gerarchi fascisti, costituita dal cessato governo, rimane in funzione estendendo, per altro, l’accertamento sugli illeciti guadagni a tutti coloro, senza distinzione di partito, che hanno, negli ultimi trenta anni, ricoperto cariche politiche od incarichi pubblici, ivi compresi i funzionari e i militari.
Da questa data del 28 settembre 1943, quindi, nasce ufficialmente anche l’esercito della R.S.I. Esso finirà col contare complessivamente (tenendo conto anche dei lavoratori militarizzati) oltre un milione di uomini fra volontari e giovani di leva delle classi 1923, 1924 e 1925. In realtà fin dall’annuncio dell’armistizio ci fu chi si rifiutò di accettarlo, come il Principe Junio Valerio Borghese e la sua “Decima Flottiglia MAS” a La Spezia, il Maggiore Edoardo Sala che, con il III Btg del 185° Rgt Paracadutisti, già nel settembre combatteva in Calabria a fianco dei tedeschi, il XII Btg della Div. Nembo del Magg. Rizzatti che non si arrende e dalla Sardegna l’11 settembre passa in Corsica, alcuni Battaglioni della Milizia, i sommergibilisti del Comandante Enzo Grossi a Bordeaux, reparti della DICAT e altri reparti minori. Ad esempio, il Ten. Rino Cozzarini, di 25 anni, volontario, che subito dopo l’8 settembre raccolse soldati sbandati e formò un reparto (Btg Bersaglieri “ M” Mussolini”) che arrivò a contare 1200 uomini e che già a fine ottobre era sulla linea di combattimento a fianco dell’alleato germanico. Il Cozzarini, promosso capitano, suscitò l’ammirazione degli alleati e dei nemici. L’11 novembre 1943 egli cadde a Mignano Montelungo e fu insignito di M.d’O. alla memoria. Vedi anche il caso del Capitano Ulrico Ripandelli che inviò al Duce il seguente telegramma: “ Gli ufficiali, sottufficiali e carristi usciti dalle fila del III Btg carri, schieratisi con i loro carri al fianco dei camerati tedeschi fin dall’11 settembre, esultano di poter continuare a combattere ai Vostri ordini per la liberazione e la grandezza della Patria immortale. Vinceremo ! F.to: Comando 118° battaglione carri della 218° Divisione alpini tedesca. Il comandante capitano: Ulrico Ripandelli”.
E immediatamente dopo si ricostituirono reparti di bersaglieri (Btg. “9 settembre”, Btg. “Goffredo Mameli”, Btg. “Benito Mussolini”) , di Camicie Nere, di SS italiane e alcune unità speciali.
Il 1° ottobre il Maresciallo Graziani parlerà a Roma al Teatro Adriano a una platea di 4000 ufficiali esortandoli ad una scelta “per l’onore”. Ben 400 ufficiali della “Piave” aderiranno e si arruoleranno immediatamente. In totale aderiranno alla R.S.I. 300 generali e 62000 ufficiali.
Intanto anche fra i militari internati in Germania ci furono molte adesioni alla R.S.I. e, con 12000 di questi uomini, si iniziò la costituzione delle quattro Grandi Unità (Divisioni Monterosa, San Marco, Italia e Littorio) che sarebbero state addestrate in Germania e avrebbero costituito il nerbo del nuovo esercito. Alla cosa fu data la massima importanza. E Mussolini si recò in Germania a visitare le divisioni in aprile 1944 (il 22 è in visita alla “San Marco” e il 16 luglio visita la “Monterosa”, il 17 la “Italia”, il 18 la “San Marco” e il 19 la “Littorio”). La divisione “Italia”, poi, sarà visitata da Mussolini anche il 27 gennaio 1945 in prossimità del fronte della Garfagnana. Qui il Duce consumerà il rancio coi soldati.
Oltre a ciò, in data 1° dicembre rientrano dalla Germania diecimila ex internati per riprendere le armi contro gli anglo-americani.
Ora i soldati italiani sono equiparati, come trattamento, ai soldati germanici (Decreto del Duce in data 2 novembre).
E il 20 novembre 1943 nasce la Guardia Nazionale Repubblicana, con a capo il gerarca carrarino Renato Ricci. Essa è formata dalla M.V.S.N., dall’Arma dei Carabinieri ( Il Consiglio dei Ministri del 27 ottobre aveva stabilito che “Restano in servizio per il mantenimento dell’ordine pubblico i Carabinieri e la Guardia di Finanza”) e dalla Polizia dell’Africa Italiana (P.A.I.)”. Essa, il 15 agosto 1944, verrà definita “primo corpo combattente dell’Esercito Repubblicano” e non avrà più compiti di polizia. E il 21 agosto il Duce in persona assume il comando della G.N.R.
Dalla data del 2 dicembre 1943, ufficialmente, truppe regolari della R.S.I. sono sul fronte di combattimento.
Il 17. gennaio 1944 reparti della X° Mas e del Btg. San Marco pronunciano giuramento.
Il 29 gennaio i gladi circondati da fronde di quercia e di alloro sostituiscono le stellette.
Il 9 febbraio, anniversario della Repubblica Romana del 1849, le nuove truppe della R.S.I. giurano solennemente con la formula “ Giuro di servire e difendere la Repubblica Sociale Italiana nelle sue istituzioni e nelle sue leggi, nel suo onore e nel suo territorio, in pace e in guerra, fino al sacrificio supremo. Lo giuro dinanzi a Dio e ai Caduti per la unità, l’indipendenza e l’avvenire della Patria”.
Il 19 febbraio il Battaglione “Barbarigo” della Decima riceve dal Comandante Borghese la bandiera di combattimento.
E il 20 febbraio è in linea a Nettuno e riceve il battesimo del fuoco.
Il 9 marzo viene costituito il Servizio Ausiliario Femminile (S.A.F.).
Il 12 marzo viene emesso il primo Bollettino di Guerra della R.S.I.: Calma sul fronte di Cassino e lotta accanita su quello di Anzio.
Il 16 marzo il Btg paracadutisti “Nembo” e il Btg “Barbarigo” della “Decima” si coprono di gloria ad Anzio.
Il 22 maggio Kesserling in persona si compiace per il comportamento del Btg “Barbarigo”.
E il 31 maggio va in linea sul fronte di Roma il Btg. Paracadutisti “Folgore”, che il 10 giugno verrà citato nel Bollettino germanico.
Con Decreto del 30 giugno 1944, poi, il PFR si trasformerà in una struttura militare con la formazione delle “Brigate Nere”.
Il giorno 11 novembre 1943 furono costituiti i Tribunali Straordinari Provinciali per giudicare i fascisti che avevano tradito e un tribunale straordinario speciale per giudicare i membri del Gran Consiglio che avevano votato l’O.d.G. Grandi, accusati di tradimento. Fra essi c’era anche Galeazzo Ciano, marito di Edda figlia del Duce. Il processo ebbe inizio alle ore 9 dell’8 gennaio 1944 a Verona in Castelvecchio. Il 10 gennaio alle ore 13,40 fu emessa la sentenza. Furono comminate 18 condanne a morte (Cianetti, che aveva ritirato il suo voto a favore fu condannato a 30 anni di reclusione). Ma la maggior parte dei condannati a morte aveva riparato all’estero e furono condannati in contumacia. Solo cinque erano presenti al processo : Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi. Essi furono fucilati l’11 gennaio 1944.
Il 20 gennaio 1944 furono deferiti al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato anche Carlo Scorza e Alessandro Tarabini. Il 15 aprile ebbero il processo e il 20 furono assolti.
Per il loro comportamento a seguito dell’8 settembre il 28 gennaio 1944 e il 5 febbraio furono deferiti al Tribunale Speciale anche alcuni ammiragli e generali. L’11, il 20 e il 22 maggio si ebbero i processi con alcune condanne e il 24 si ebbe l’esecuzione di Campioni e Mascherpa, condannati a morte.
Quanto ai Tribunali Straordinari Provinciali c’è da dire che il 6 giugno 1944 archiviarono tutti i casi non riguardanti iscritti al P.F.R. e mandarono liberi tutti gli imputati.
E in data 28 ottobre 1944 furono condonate tutte le pene fino a 3 anni di carcere.
Intanto il nuovo stato aveva cominciato a funzionare regolarmente. Le condizioni erano drammatiche: le città erano martoriate dai bombardamenti (il 20 ottobre 1944 suscitò orrore il bombardamento della scuola di Gorla a Milano, dove trovarono la morte 300 bambini. I civili morti per bombardamenti assommeranno a 64.000), il problema degli approvvigionamenti era impellente (tuttavia in data 22 ottobre fu disposto che la razione del pane passasse dai 150 ai 200 grammi giornalieri. E in data 27 novembre il Ministro dell’Agricoltura dispose che tale aumento avesse vigore per tutta la durata della stagione invernale. In data 10 febbraio, poi, il Duce impartisce precise disposizioni per la campagna agricola), i rapporti spesso non facili con i tedeschi complicavano ulteriormente le cose. A tutto questo, poi, cominciò ad aggiungersi il problema dei partigiani, con i primi assassinii di fascisti. Si trattava in prevalenza di giovani renitenti alla leva che si erano rifugiati in montagna, ma anche di vecchi antifascisti, specie comunisti, che intravedevano la possibilità di abbattere il Fascismo.
Ci furono anche dei tentativi di sciopero. Il 4 marzo 1944 si ebbe uno sciopero nelle industrie dell’alta Italia. L’8 marzo il Ministero dell’Interno comunicò che gli scioperanti erano stati 208549 per un tempo variabile da 11 minuti a 4 giorni. Non ci furono conseguenze per gli scioperanti ma furono arrestati due industriali: Guido Donegani e Franco Marinotti.
E il 1 maggio ci fu un secondo tentativo di sciopero che, però, ebbe scarse adesioni: 4000 a Genova, 260 a Milano, 1100 a Imola.
Malgrado tutto ciò i trasporti continuarono a funzionare anche se fra mille difficoltà, le fabbriche continuarono il loro lavoro, le scuole riaprirono regolarmente, l’amministrazione pubblica faceva il proprio dovere, l’economia era governata con mano ferma (l’inflazione, ad esempio, era insignificante se paragonata con quella scatenatasi al sud, nelle terre occupate). Subito dopo l’8 settembre i tedeschi avevano introdotto i Marchi d’occupazione. Una delle prime preoccupazioni del Ministro delle finanze fu quella di farli ritirare. Ciò accadde il 25 ottobre 1943. Da quella data essi persero ogni valore legale. In data 1° dicembre venne costituito un Comitato Economico Italiano col compito di studiare le questioni economiche, con particolare riguardo all’economia di guerra. E in data 5 dicembre viene istituito un Comitato nazionale dei prezzi, con Carlo Fabrizi Commissario, alle dirette dipendenze del Duce.
A riprova di come le cose abbiano sempre continuato a funzionare a dovere durante la R.S.I. sta la testimonianza davvero non sospetta del Maggiore americano Michael Noble del 15° Gruppo di armate alleato. Egli, inviato a Milano per riorganizzare l’uscita dei quotidiani, vi giunse il 27 aprile 1945 e rimase stupito per l’ordine e la normalità che vi regnavano ” …Per prima cosa restai sorpreso vedendo grandi palazzi pieni di una vita normale, i tram che funzionavano, i cinema e i teatri aperti regolarmente, gli uffici pubblici in piena attività, la gente che stava seduta ai caffè vestita decorosissimamente. Era uno spettacolo nuovo ed estremamente civile….”(intervista rilasciata a Silvio Bertoldi e pubblicata nel libro “La guerra parallela” I Record Mondadori 1966 pag.174).
Molto intensa fu l’azione di governo tesa a mantenere integro il potere di acquisto della moneta, a mantenere ad alti livelli la produzione agricola e industriale, a mantenere su buoni livelli il tenore di vita della popolazione. Si ricorse anche a misure drastiche come la requisizione delle fabbriche di alimentari, che furono gestite da commissioni sindacali. Il 29 dicembre 1944 trattorie e ristoranti furono trasformati in “mense di guerra”, dove si poteva mangiare anche con sole quattro lire. Funzionavano, inoltre, mense gratuite per gli indigenti, gestite dal P.F.R.
E anche in tale situazione di assoluta emergenza (si pensi alle ingentissime spese militari, alle spese per mantenere in efficienza i servizi continuamente devastati dalle incursioni aeree), il bilancio dello Stato chiudeva rigorosamente in pareggio. Nell’anno 1944 il Ministro delle Finanze Pellegrini Giampietro, con abilissime manovre finanziarie riuscì ad avere entrate per 379 miliardi e 11 milioni, contro un ammontare delle uscite di 360 miliardi. Si ebbe, cioè, un attivo di circa 20 miliardi.
Anche l’Opera Nazionale Balilla era risorta. In una relazione di Renato Ricci del 19 febbraio 1944 si dice che si sono “costituiti 66 centri provinciali, 2255 vecchi ufficiali rispondono alle chiamate; 50000 organizzati, 8740 ospiti nelle colonie; 300.000 refezioni scolastiche giornaliere”.
Il 22 novembre 1943 il filosofo Giovanni Gentile viene nominato Presidente dell’Accademia d’Italia.
Ma è soprattutto da rilevare l’impegno che fu subito posto nel delineare, fin dai primi giorni, il carattere e gli impegni del nuovo Stato.
Ciò fu fatto con la prima Assemblea Nazionale (o Congresso) del P.F.R. che si riunì a Verona in Castelvecchio il 14 novembre 1943. Ad esso parteciparono: 3 rappresentanti per ogni federazione (furono assenti Chieti, Grosseto, Macerata e Rieti), in gran parte elettivi, i delegati regionali, i capi delle organizzazioni sindacali, i membri del governo, i direttori dei giornali quotidiani e dei principali settimanali, i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e degli Enti Morali della Nazione. Il Congresso fissò nei 18 punti di un Manifesto Programmatico quella che sarebbe stata la politica interna, estera e sociale della nuova Repubblica. Nacquero, così, i famosi “18 punti di Verona”. E la politica sociale fu quella che caratterizzò veramente la R.S.I. Il 30 giugno 1944 entra in vigore la legge sulla socializzazione che era stata approvata il 12 febbraio. Il 22 gennaio 1945 viene socializzata la FIAT, il 1 febbraio la Pirelli, la Morelli, la Snia Viscosa, la Marzotto e i Lanifici Rossi. E il 5 aprile 1945 la socializzazione viene estesa a tutte le aziende.
In data 15 gennaio 1945 era stato creato il Ministero del Lavoro, trasformando in Ministero il Commissariato Nazionale del Lavoro che funzionava fin dal 7 dicembre 1943. Il nuovo ministero assorbì anche la politica sociale che era di competenza del Ministero dell’Economia Corporativa, il quale, da allora, assunse la denominazione di Ministero per la Produzione Industriale. Il 22 dello stesso mese viene nominato Ministro del Lavoro l’operaio tipografo Giuseppe Spinelli, già Podestà di Milano.
Il governo della RSI aveva sede sul lago di Garda, a Salò e dintorni. Mussolini aveva la sua sede a Gargnano nella Villa Orsoline, mentre la sua residenza era a Salò nella Villa Feltrinelli.
Impegno prioritario del governo della RSI era quello di contrastare, a fianco dei tedeschi, l’avanzata degli anglo-americani.
Dopo la rapida occupazione della Sicilia, fu attaccato il territorio metropolitano con lo sbarco in Calabria (Operazione Baytown) del 3 settembre e, successivamente, con quello della 5° Armata U.S.A. a Salerno del 9 settembre alle ore 6 (Operazione Avalanche). Il Gen. Kesserling il 12 tenta un contrattacco ma, dopo due giorni, massicci attacchi dal cielo e dal mare lo costringono a ritirarsi.
Il 1° ottobre Napoli è perduto. Una prima linea di difesa si stabilì a Nord di Napoli, sul fiume Volturno, ma la pressione degli anglo-americani costrinse le truppe tedesche a ritirarsi sul fiume Garigliano. Tale linea, che si chiamò “Gustav”, comprendeva Montecassino e, lungo il fiume Sangro giungeva all’Adriatico. Il 31 dicembre i tedeschi sono attestati su queste linea. Essa resistette alcuni mesi.
Ma il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani sbarcarono a Nettuno e riuscirono a stabilire una testa di ponte fra Anzio e Nettuno. I tedeschi, con il valido contributo dei primi reparti combattenti della R.S.I. (Btg “Nembo” dal 12 febbraio, Btg “Barbarigo” dal 4 marzo, il Gruppo “San Giorgio” dall’11 marzo, le SS italiane dal 17 marzo e il Rgt “Folgore” dal 28 maggio) ne bloccarono l’espansione, ma non riuscirono a ricacciarli in mare, malgrado l’impiego di cinque divisioni: la 26° e la Herman Goring corazzate, la 3° e la 90° di granatieri corazzati e la 4° paracadutisti. Il 1 febbraio si ebbero durissimi combattimenti fra Aprilia e Cisterna di Latina.
Il 7 aprile riprende l’iniziativa degli anglo-americani e i combattimenti si riaccendono durissimi da Cassino al mare. L’11 maggio l’offensiva si intensifica e i tedeschi, fra il 15 e il 16 maggio iniziano a ritirarsi.
Montecassino, la cui abbazia fu distrutta dai bombardieri anglo-americani il 15 febbraio 1944, fu occupata dai polacchi del Gen. Abders (reparto condotto dal Ten. Podolski) il 18 maggio 1944 e gli anglo-americani risalirono verso Nord.
Il tentativo di costituire una nuova linea difensiva più a nord, la linea “Hitler” non portò risultati apprezzabili.
E il 23 maggio la 5° armata americana si congiunge con le truppe di Anzio e Nettuno a Borgo Grappa.
Ormai la strada per Roma è aperta. Ai primi di giugno a contrastare le divisioni anglo-americane sono rimasti solo gli italiani della R.S.I. Reparti del “Barbarigo”, del “Nembo” e, soprattutto, i paracadutisti del “Folgore” del Maggiore Rizzatti, che si immolarono fra Pratica di Mare e Castel di Decima. Di 980 uomini ne sopravvissero 30, che si ritirarono combattendo. Fra i caduti il comandante Rizzatti, caduto mentre attaccava un carro armato con le bombe a mano. Gli fu conferita la Medaglia d’Oro alla memoria.
Il 4 giugno 1944 alle ore 19,15 un’avanguardia dell’88° Divisione di Fanteria U.S.A. arriva in Piazza Venezia a Roma. La caduta di Roma suscitò un’impressione fortissima. E gli alleati che, anche sfruttando la carica psicologica che tale conquista aveva dato agli eserciti inglese e americano, il 6 giugno sbarcarono in Normandia, aprendo così un nuovo fronte ad occidente. L’11 agosto cade Firenze. L’avanzata del nemico è contrastata passo passo, ma si è costretti ad arretrare. Ai primi di settembre gli italo-tedeschi si arroccano su quella che sarà l’ultima linea di difesa: la linea “gotica”, che va dalla Versilia all’Emilia a sud di Bologna.
Intanto, in agosto, gli alleati erano sbarcati anche a Tolone, nel sud della Francia.
La situazione della RSI si fa sempre più drammatica. Eppure lo Stato continua a funzionare, Mussolini difende con le unghie e con i denti l’autonomia della sua Repubblica e tenta disperatamente, anche con atti di grande clemenza, di attenuare gli effetti nefasti della guerra civile. E anche l’attività legislativa non si arresta. Il 12 febbraio 1944 il Consiglio dei Ministri approva, malgrado l’ostilità dei tedeschi, il decreto sulla “Socializzazione delle imprese”, che rivoluziona i rapporti all’interno del mondo del lavoro e che, a tutt’oggi, rappresenta la legislazione più avanzata in campo sociale.
Il 16 dicembre 1944 Mussolini si reca a Milano dove susciterà immensi entusiasmi e dove avrà il suo ultimo bagno di folla. Terrà al Teatro Lirico il suo ultimo discorso, nel quale esalterà il programma sociale della RSI e inciterà i camerati milanesi alla riscossa.
Il 19 giugno i tedeschi cominciano ad arroccarsi sulla nuova linea difensiva la “linea Gotica”. Tuttavia contrastano l’avanzata americana passo per passo. Il 4 agosto lasciano Firenze, che viene ancora disperatamente difesa dai fascisti appostati sui tetti delle case. Il 2 settembre cade Pisa e il 5 Lucca.
Sulla linea “gotica” gli anglo-americani vengono bloccati per tutto l’inverno e fino ai primi di aprile del 1945. Nei primi giorni di quel mese riprende l’attacco e, poco dopo la metà del mese, le resistenze italo-tedesche vengono sopraffatte e il nemico dilaga nella pianura padana.
Intorno agli ultimi giorni del mese le truppe tedesche si arrendono, seguite da quelle italiane, che si erano battute valorosamente sui vari fronti di guerra. La Divisione Italia e il Btg Intra della Divisione Monterosa, che avevano retto il fronte della Garfagnana fino al 17 aprile, si ritirano ordinatamente, riuscendo a contenere, in Lunigiana, gli attacchi americani che tentavano di tagliare la ritirata alle truppe che defluivano dalla Garfagnana. Esse, unitamente alle truppe tedesche del Generale Fretter Pico, giungono nei pressi di Fornovo, dove trovano la strada verso Parma sbarrata dalle truppe brasiliane. Dopo un ultimo tentativo di aprirsi un varco verso il Po, vista l’impossibilità di riuscita, si decide la resa. Viene concesso l’onore delle armi. E’ il 27 aprile. Più o meno negli stessi giorni si arrendono ai partigiani anche la divisione San Marco, la Littorio e il grosso della Div. Monterosa, vari reparti della Decima, e altri. Qualcuno resiste in armi fino ai primi di Maggio. Molti dei militari arresisi ai partigiani verranno vigliaccamente trucidati. I sopravvissuti verranno rinchiusi nell’infernale campo di concentramento di Coltano e vi rimarranno fino all’autunno.
Mussolini, che il 25 aprile si era portato a Milano e il 26 a Como, alle ore 8 del 27 aprile viene catturato dai partigiani nei pressi di Dongo mentre con alcuni gerarchi, uomini della Brigata Nera di Lucca e un reparto tedesco si sta dirigendo verso Nord.
Secondo la versione partigiana (ormai da molti messa in dubbio) Mussolini, che era stato isolato dagli altri gerarchi, viene ucciso insieme a Claretta Petacci a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di Villa Belmonte, alle ore 16,20 del 28 aprile 1944. A Dongo, alle ore 17,48 dello stesso giorno, vengono uccisi quindici gerarchi o presunti tali : Pavolini, Barracu, Mezzasoma, Zerbino, Liverani, Romano, Porta, Coppola, Daquanno, Utimpergher, Calistri, Casalinovo, Nudi, Bombacci, Gatti. Ed anche Marcello Petacci, che i gerarchi non vollero fosse fucilato con loro, fu ucciso subito dopo.
Il 29 i diciotto cadaveri vengono portati a Milano con un camion e appesi per i piedi alla tettoia di un distributore di benzina a Piazzale Loreto. I cadaveri vengono vergognosamente insultati e vilipesi da una folla imbarbarita.
E non furono i soli morti della R.S.I. In quei giorni si scatenò una feroce caccia al fascista e diverse decine di migliaia di fascisti, civili o militari, furono trucidati, spesso in modo orrendo, anche quando, fidando nella parola del nemico che garantiva salva la vita, avevano già deposto le armi. Molte le stragi, avvenute soprattutto nel nord Italia, opera quasi sempre di partigiani comunisti.
Le operazioni di guerra in Italia cessarono ufficialmente con la nota resa di Caserta, firmata il 29 aprile 1945 da Germania e R.S.I. Essa prevedeva il cessate il fuoco alle ore 18 del 2 maggio 1945.
Alcune decine di migliaia di combattenti della R.S.I., ebbero salva la vita e furono rinchiusi in campi di concentramento. Circa 35.000 di essi furono rinchiusi nel Campo di concentramento di Coltano, presso Pisa, dove vissero in condizioni disumane fino all’autunno, quando poterono tornare in libertà. Non tutti, però, poterono tornare veramente liberi alle loro case. Molti dovettero vivere nascosti ancora per mesi, per non essere assassinati dai partigiani comunisti, ancora ben armati e ancora a caccia di fascisti. E per lunghi anni i fascisti superstiti patiranno le conseguenze di una feroce discriminazione, che li condannerà ai margini della società, costringendoli a lavori spesso umili, quasi sempre autonomi, essendo stati quasi tutti rimossi dai loro impieghi mediante la così detta “epurazione”. La lotta per la sopravvivenza delle persone e dei loro ideali fu, per molti fascisti della R.S.I., la continuazione di una guerra che per loro non era ancora finita. E nessuno si è arreso.
Siamo agli ultimi atti della tragedia. Il 7 maggio si ha la capitolazione della Germania. I gerarchi nazisti, ad eccezione di Hitler e di Goering che si sono suicidati e di Borman, di cui si sono perse le tracce, verranno processati (il processo di Norimberga si aprirà il 21 novembre 1945) e in massima parte impiccati.
Resiste ancora il Giappone. Ma il 6 agosto 1945 gli americani sganciano su Hiroshima la prima bomba atomica della storia, uccidendo centomila persone, e il 9 agosto sganciano la seconda su Nagasaki uccidendo altri sessantamila civili giapponesi.
Il 14 agosto 1945 l’imperatore Hiro Hito si arrende.
La seconda guerra mondiale è finita.                  

Statuto U.N.C. - R.S.I.

 
UNIONE NAZIONALE COMBATTENTI
REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA 
 
STATUTO
(con aggiunte e varianti approvate
 dal 5° Congresso Nazionale
 Roma - 21 Novembre 1982)
                                                                                                
PREMESSA
L’U.N.C.R.S.I. (UNIONE NAZIONALE COMBATTENTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA) unisce coloro che in ogni arma, corpo e specialità hanno fatto parte delle FF.AA. dello Stato storicamente denominato Repubblica Sociale Italiana.
 
L’U.N.C.R.S.I , operando nel rispetto delle vigenti norme costituzionali e legislative, ispira la sua costante azione – nel perseguimento della verità storica e della pacificazione fra gli italiani – al principio che la difesa della Patria è sacro dovere di ogni cittadino.
 
A tal uopo si propone di raccogliere e conservare, al fine di costituire un museo storico delle FF. AA. Della Repubblica Sociale Italiana, da donare al popolo italiano, ogni documentazione realativa ai fatti bellici che comunque videro impegnati reparti delle predette FF.AA.
 
Capo I – ISCRITTI
Art. 1
 La Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana (U.N.C.R.S.I.) ha in Roma la sede centrale.
L’Unione è costituita dalle Sezioni Comunali e dalle Federazioni Provinciali e può costituire altre sedi locali presso collettività italiane all’ Estero. 
Art. 2  
La Unione Nazionale Combattenti della R.S.I. è apartitica.
Art. 3
Gli scopi dell’Unione sono:
a)      Documentare sul piano storico l’azione ed i principi della R.S.I. , nonché il valore ed il sacrificio dei suoi combattenti;
b)      Mantenere vivo ed imperituro il ricordo dei Caduti e promuovere la loro decorosa sepoltura;
c)      Assistere e tutelare sul piano morale, giuridico ed amministrativo tutti coloro che hanno militato nelle FF.AA. della R.S.I.;
d)      Ricordare alle nuove generazioni la verità storica sulla R.S.I.  e sulle sue FF.AA. anche ai fini della pacificazione tra gli italiani, nel superiore interesse della Patria. 
Art. 4
Sono soci di onore tutti i Caduti e i dispersi della R.S.I. 
Hanno il diritto di chiedere l’iscrizione all’ U.N.C.R.S.I. i militari delle FF.AA. della R.S.I.; i militari prigionieri di guerra << Non Cooperatori >> e tutti coloro che hanno aderito ad operato comunque e dovunque per l’affermazione e la difesa della R.S.I., purchè siano accettati dalle Commissioni di cui all’Art. 7 del presente Statuto. 
Ogni domanda d’iscrizione va sempre corredata da valida documentazione e presentata da due iscritti. 
Possono aderire all’Unione, senza elettorato attivo e passivo, coloro che pur non avendo i requisiti previsti dal 2° comma del presente articolo, si impegnano ad operare per la realizzazione degli scopi dell’Unione. 
Ogni domanda di adesione va corredata dalla presentazione di due iscritti ed è sottoposta allae Commissioni di cui all’Art. 7. 
Capo II – ORGANIZZAZIONE 
Art. 5  
L’Unione è organizzata territorialmente in Sezioni Comunali e Federazioni Provinciali. 
Sono organi organizzativi:
a)      Nelle Sezioni: l’Assemblea, la Direzione formata dal Segretario, da un Vice Segretario e da tre membri;
b)      Nelle Federazioni: il Congresso Provinciale, la Direzione formata dal Segretario, da un Vice Segretario e cinque membri. 
Art. 6 
Sono organi centrali dell’Unione:
-         il Congresso Nazionale
-         il Comitato Centrale
-         la Direzione Nazionale
-         il Presidente
Art. 7 
Sono organi disciplinari dell’ Unione:
a)      nelle Sezioni: la Commissione di accettazione (in sede istruttoria disciplinare);
b)      nelle Federazioni: la Commissione Nazionale di accettazione e disciplina. 
Art. 8 
Sono organi amministrativi dell’Unione: 
a)      nelle Sezioni: il Segretario Amministrativo, il Collegio del Revisori dei Conti;
b)      nelle Federazioni: il Segretario Amministrativo, il Collegio Provinciale dei Revisori dei Conti;
c)      nell’organizzazione centrale: il Segretario Amministrativo, il Collegio Nazionale dei Revisori dei Conti. 
I Segretari Amministrativi vengono nominati dalle Direzioni Sezionali, dalle Direzioni Provinciali e dalla Direzione Nazionale.
Art. 9 
La composizione e il funzionamento degli organi disciplinari e degli organi amministrativi sono stabiliti Da appositi regolamenti nei limiti fissati dallo Statuto. 
Capo III – SEZIONI COMUNALI 
Art. 10
 L’unità organica fondamentale dell’ Unione è la Sezione Comunale che riunisce tutti gli iscritti residenti nel comune.
 La Sezione Comunale può essere costituita da un minimo di venti iscritti. 
Più comuni possono riunirsi in Sezione per raggiungere il minimo previsto di iscritti. 
Nei Capoluoghi di Provincia il Segretario Provinciale è sempre Segretario della Sezione Comunale Del Capoluogo di Provincia. 
Art. 11 
Tutti gli iscritti della Sezione presenziano alle assemblee sezionali e partecipano alle deliberazioni. 
Art. 12 
L’assemblea sezionale si pronuncia: 
a)      sulle attività della Direzione Sezionale;
b)      elegge i Delegati al Congresso Provinciale in proporzione al numero di iscritti alla Sezione in ragione di 1 ogni 20 o frazione; il Segretario Sezionale; il Collegio dei Revisori dei Conti ( due membri). 
L’assemblea sezionale si riunisce almeno una volta l’anno e,in via straordinaria, su convocazione della Direzione Sezionale e su richiesta di due terzi degli iscritti. 
Art. 13 
La Direzione Sezionale (composta da un Segretario e da un Vice Segretario e da 3 membri, nominati dal Segretario) coadiuva il Segretario nell’esercizio delle sue funzioni, promuove e coordina le attività della Sezione e funge da Commissario di accettazione. 
Art. 14 
In caso di dimissioni o di impedimento del Segretario sezionale il Vice Segretario assume la temporanea reggenza con l’obbligo di convocare, entro due mesi l’assemblea sezionale per l’elezione del nuovo Segretario di Sezione. 
Capo IV – FEDERAZIONI PROVINCIALI
 Art. 15 
La Federazione Provinciale comprende le Sezioni Comunali della Provincia. 
La Direzione Nazionale può autorizzare la costituzione di più Federazioni all’interno di una stessa provincia, applicando ad esse le norme previste per le Federazioni Provinciali. 
Art. 16 
Il Congresso Provinciale è composto: 
dai Segretari Sezionali, dai Delegati delle Sezioni stesse, dal Segretario Provinciale uscente, dai componenti della Direzione Provinciale, dai membri della Commissione di accetazione e disciplina e dal Collegio dei Revisori dei Conti uscenti. 
Il Congresso Provinciale si pronuncia:
a)      sulle attività della Direzione Provinciale;
b)      elegge: i Delegati al Congresso Nazionale in ragione di 1uno ogni cinquanta iscritti nella provincia, il Segretario Provinciale , il Collegio dei Revisori dei Conti ( 2 membri effettivi e 1 supplente) . 
Il Congresso Provinciale si riunisce almeno una volta ogni due anni e, in via straordinaria, su convocazione della Direzione Provinciale o su richiesta si due terzi dei Segretari di Sezione. 
La Direzione Nazionale può autorizzare, in sostituzione del Congresso Provinciale, la convocazione, in Assemblea Provinciale, di tutti gli iscritti alla Federazione. 
Art. 17 
La Direzione Provinciale, composta da 1 Vice Segretario e da 5 membri, coadiuva il Segretario Provinciale nell’esercizio delle sue funzioni, promuove e coordina le attività della Federazione in conformità delle direttive della Direzione Nazionale, compila il bilancio consuntivo della gestione amministrativa e lo sottopone alla approvazione del Congresso Provinciale, nomina la Commissione Provinciale di accettazione e disciplina composta da 3 a 5 membri.
Art. 18 
Il Segretario Provinciale rappresenta la Federazione e ne indirizza le attività in conformità delle delibere della Direzione Provinciale. 
Il Vice Segretario Provinciale sostituisce il Segretario Provinciale nei casi di assenza o di impedimento temporaneo, mentre nel caso di dimissioni o di impedimento permanente del Segretario Provinciale, il Vice Segretario Provinciale ne assume la temporanea reggenza con l’obbligo di convocare, entro due mesi, il Congresso Provinciale per l’elezione del nuovo Segretario Provinciale. 
Art. 19 
La Direzione Provinciale, quando ricorrano fondati e gravi motivi, ha facoltà di sciogliere le Direzione Sezionali e nominare un Commissario Straordinario per la temporanea reggenza delle Sezioni con l’obbligo, entro due mesi dalla nomina, di convocare le assemblee sezionali per l’elezione delle nuove Direzioni Sezionali. 
Art. 20 
Per il coordinamento dell’attività delle Sezioni dipendenti, la Direzione Provinciale si può valere di Ispettori di Zona da essa delegati. 
Capo V – IL COGRESSO NAZIONALE 
Art. 21 
Il Congresso Nazionale deve essere convocato almeno ogni tre anni ed è composto con diritto di voto e di parola. 
-         dalle Delegazioni Provinciali in ragione di un elemento per ogni 50 iscritti nella federazione;
-         dai membri della Direzione Nazionale uscente;
-         dai Segretari Provinciali;
-         dai membri del Comitato Centrale uscente;
-         dai membri della Commissione di accettazione e disciplina e del Collegio Nazionale dei Revisori dei Conti uscenti. 
Il Congresso Nazionale adepie ai seguenti compiti:
a)      fissa gli orientamenti generali dell’Unione;
b)      delibera le modifiche allo Statuto;
c)      elegge:
-         il Comitato Centrale
-         il Presidente e un Vice Presidente;
-         cinque membri della Direzione Nazionale;
-         il Collegio Centrale dei Revisori dei Conti ( tre membri effettivi e due supplenti). 
 
Capo VI – IL COMITATO CENTRALE
Art. 22
 
Il comitato Centrale è composto da quaranta membri di cui trenta eletti dal Congresso e dieci designati dalla Direzione Nazionale su proposta del Presidente. 
Ove fosse necessario ricostituire il << plenum >>  provvederà per cooptazione il Comitato Centrale. 
I Membri della Direzione Nazionale fanno parte di diritto del Comitato Centrale. 
Esso viene convocato dal  Presidente o da almeno un terzo della Direzione Nazionale, in casi eccezionali, quando risulti l’impossibilità di convocare tempestivamente il Congresso Nazionale per decidere in luogo di questo. 
Capo VII – LA DIREZIONE NAZIONALE
 Art. 23
 
La Direzione Nazionale è composta da:
-         Il Presidente;
-         Un Vice Presidente eletto dal Congresso;
-         Dieci membri, di cui cinque eletti dal Congresso e cinque designati dal Presidente. 
Tra detti dieci membri vi deve essere almeno una Ausiliaria.
 Tra essi la Direzione Nazionale elegge, su proposta del Presidente, altri due Vice Presidenti e, ove lo ritenga opportuno, anche un terzo. 
Per ogni votazione , a parità di voto prevale quello del Presidente.
 Art. 24 
La Direzione Nazionale ha i seguenti Compiti:
a)      Cura le direttive e le norme per il funzionamento degli organi centrali e periferici nei limiti delle decisioni del Congresso;
b)      Nomina la Commissione Centrale  di accettazione e disciplina (tre membri effettivi e due supplenti);
c)      Elegge nel proprio seno i Vice Presidenti di cui all’art. 23;
d)      Ha inoltre la facoltà di costituire una Consulta di Onore scegliendone i componenti tra i Comandanti delle Grandi Unità della R.S.I. e Combattenti repubblicani di alto merito o di alte qualità espresse in incarichi speciali nella R.S.I.
Art. 25
 Il Presidente Nazionale rappresenta l’unità  e la continuità dell’Unione, ha la rappresentanza legale dell’Unione e mantiene i contatti con le Autorità Nazionali, dà incarichi ispettivi per il migliore andamento organizzativo, ratifica le nomine delle cariche Provinciali.
Quando ricorrano fondati e gravi motivi il Presidente Nazionale ha la facoltà di sciogliere le Direzioni Provinciali  e nominare un Commissario Straordinario per la temporanea reggenza della  Federazione, con l’obbligo, entro tre mesi dalla nomina, di convocare il Congresso Provinciale, per la elezione della nuova Direzione Provinciale.
Il Presidente Nazionale organizza e dirige il centro studi storici della R.S.I. 
Art. 26 
I Vice Presidenti coadiuvano il Presidente, e questi può delegare compiti particolari.
Il Vice Presidente eletto dal Congresso sostituisce il Presidente nei casi di assenza o di impedimento temporaneo di questi; nel caso di dimissioni del Presidente o cessazione, egli assume la temporanea reggenza, con l’obbligo di convocare, entro due mesi, il Congresso Nazionale; e ove ciò non sia possibile, il Comitato Centrale per la elezione del nuovo Presidente. 
Art. 27
 Il Presidente può decidere di assumere, con la ratifica del Comitato Centrale, la carica e le funzioni di Presidente Onorario. 
In tal caso il Vice Presidente eletto dal Congresso assume la carica e le funzioni di presidente. 
 
L’atto costitutivo dell’UNIONE COMBATTENTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA è stato rogito dal dott. Beniamino Papa, Notaio in Roma, il giorno 19 Maggio 1962 – rep. N 18479 progress. N. 7888 – Registrato a Roma il 25 – 5 – 1962 – Mod. 71/M – N. 13775 serie F. Mod. 1 Vol. 136.

mercoledì 15 gennaio 2014

Presentazione del libro: Mercenario


Junio Valerio Borghese, il Principe Nero

Junio Valerio Borghese, il Principe Nero

Le sue numerose operazioni eroiche e l'eleganza aristocratica ne fanno uno dei personaggi più affascinanti del Novecento

 
‘Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo’
 
“Anch’io, in quei giorni del settembre 1943, fui chiamato ad una scelta. E decisi la mia scelta. Non me ne sono mai pentito. Anzi, quella scelta segna nella mia vita il punto culminante, del quale vado più fiero. E nel momento della scelta, ho deciso di giocare la partita più difficile, la più dura, la più ingrata. La partita che non mi avrebbe aperto nessuna strada ai valori materiali, terreni, ma che mi avrebbe dato un carattere di spiritualità e di pulizia morale al quale nessuna altra strada avrebbe potuto portarmi. In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive,  di come si muore. Una guerra si può perdere ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo”.
 
Sono parole di Junio Valerio Borghese. Sommergibilista, Tenente di Vascello, comandante della storica X Flottiglia Mas. Nei giorni successivi all’8 settembre Borghese fa a sua scelta, chiara, inequivocabile: “All’8 settembre, al comunicato di Badoglio, piansi. Piansi e non ho mai più pianto … Perché quello che c’era da soffrire per ciò che l’Italia avrebbe vissuto come suo avvenire, io l’ho sofferto allora. Quel giorno io ho visto il dramma che cominciava per questa nostra disgraziata nazione che non aveva più amici, non aveva più alleati, non aveva più l’onore ed era additata al disprezzo di tutto il mondo per essere incapace di battersi anche nella situazione avversa”.
 
La resa dell’8 settembre non è una bella pagina nella storia d’Italia. Lo stesso Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle Forze Alleate, scrive nel suo Diario di guerra che ‘la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad avere perduto questa guerra con disonore salvato, solo in parte, dal sacrificio dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana”. E infatti è convinzione di Borghese che il re e Badoglio, con la firma dell’armistizio, abbiamo abdicato ogni autorità, avendo commesso un tradimento nei confronti del popolo italiano, rinunciando a salvaguardare la civiltà europea dal predominio americano e sovietico. Non solo: l’Italia ha perso di credibilità sia nei confronti dell’alleato che del nemico “per il disprezzo sia degli alleati traditi che dei vincitori con cui si cerca, vilmente, di accordarsi”. È interessante anche un’altra affermazione di Borghese: “non mi sembra che tali convincimenti e sentimenti abbiano un’impronta fascista: appartengono al patrimonio ideale e morale di chiunque”. E ancora: “fu fascista la RSI? Per me, la RSI rispose ad un’esigenza morale e nazionale; avrebbe potuto formarsi anche senza Mussolini. Non va confusa con il fascismo tradizionale. Alla RSI aderirono uomini che non erano mai stati fascisti e si trovarono a fianco con fascisti del Ventennio per un ideale più alto di quello di un partito”, come riferisce Ruggero Zangrandi nel suo “1943: 25 luglio-8 settembre” edito da Feltrinelli.
 
“… L’esperienza per me più interessante ed importante dal punto di vista politico, formativo e dell’esistenza – dice ancora il Principe Nero – è stata quella successiva all’8 settembre. Prima era tutto piuttosto semplice. Si trattava di compiere il proprio dovere senza scelte personali. non c’erano problemi. L’8 settembre ci ha messo di fronte a molti dilemmi, a esami di coscienza, alle responsabilità da prendersi verso noi stessi, verso le istituzioni alle quali appartenevamo, per me la Marina, e verso gli uomini che da noi dipendevano. Quindi, da quel momento, hanno cominciato a pesare fattori di ordine spirituale e politico”.  
 
Le sue numerose operazioni eroiche e il tentato golpe del 1970, intorno al quale sono fiorite le più varie ipotesi e di cui si è a lungo favoleggiato, fanno di lui un personaggio romanzesco e a tratti misterioso.
 
Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, Medaglia d’oro e di bronzo al valor militare, Medaglia commemorativa della guerra di Spagna, Medaglia d’argento al valor militare nella RSI, Croce di Ferro di 1 classe, Croce di Ferro di 2 classe, Junio Valerio Borghese, il Principe Nero, è uno dei personaggi più affascinanti della storia del Novecento.
 
Emma Moriconi

http://www.ilgiornaleditalia.org/news/cultura/851584/Junio-Valerio-Borghese--il-Principe.html

venerdì 10 gennaio 2014

"Ali infrante" di Orazio Ferrara

“Ali infrante / Storie dimenticate della Regia Aeronautica” di Orazio Ferrara

In una certa Italia dell’ultimo dopoguerra parlare o scrivere delle vicende di uomini in divisa, che avevano combattuto con onore, spesso a prezzo della vita, per la Patria, era oltremodo difficile e scomodo nel migliore dei casi, nel peggiore ciò era considerato una provocazione. Eppure ancora oggi non è facile. E’ il vecchio dramma dell’Italia, del passato che non passa. Mai. Dove non si riesce ancora a storicizzare eventi accaduti decine e decine di anni fa. Dove molti, da destra e da sinistra e anche dal centro, non riescono a fare con serenità i conti con la nostra Storia nazionale, che si vuole a forza ingabbiare nelle trincee contrapposte della quotidianità della fazione politica. Eppure a quegli uomini settant’anni fa fu data loro una consegna, giusta o sbagliata, combattere per l’Italia. A quest’ultima consegna non vennero mai meno, anche a costo delle loro giovani vite. Per questo essi sono degni di memoria. Ogni comunità nazionale, nella sua interezza, dovrebbe essere fiera di annoverarli quali figli, in quanto uomini che trascendono la stessa trincea in cui si battono, e che pertanto diventano un esempio di lealtà, di dedizione e di coraggio, valido per tutti in ogni tempo. Dunque una comunità umana merita questo nome, quando ricorda con orgoglio i suoi figli migliori, anche se questi emergono da pagine buie e drammatiche, che l'inconscio vorrebbe rimuovere, come quelle della seconda guerra mondiale. Quest'ultima intima convinzione ha guidato l’Autore nello scrivere il presente libro.

Un libro che racconta di storie di uomini con le fascinose e belle mostrine della Regia Aeronautica. Di storie dimenticate e di ali spezzate. Come quella del pilota legionario e medaglia d’oro Federico Cozzolino, uno che suscita ammirazione per il non tirarsi mai indietro, costi quel che costi. Un gigante nella sua ora più tragica quando, ancora sanguinante per le gravi ferite riportate a seguito del lancio col paracadute, viene preso dai miliziani repubblicani spagnoli ed egli non abiura la causa per cui combatte, pur di fronte alla minaccia dei fucili spianati. Abiura che gli avrebbe permesso di aver salva la vita. Anzi fa di più, testimonia la sua appartenenza col grido di Arriba Italia per meglio farsi comprendere e viene, all'istante, barbaramente trucidato, e ciò in spregio a tutte le leggi di guerra. Per sessantacinque anni Federico Cozzolino ha aspettato in silenzio in quella scarna tomba di un cimitero spagnolo. Ma troppo grande era l’amore per la sua terra e infine, malgrado i faziosi e perduranti veti, è tornato finalmente a casa, avvolto in un tricolore a mo’ di sudario e  in un’atmosfera non greve né triste, ma di silenziosa gioiosità come si conviene per il ritorno delle spoglie di un coraggioso, mentre qualcuno riandava con la mente a versi già scritti per Federico un giorno lontano: com’aquila / con la fronte nel sole.

O come la storia del filosofo volante o del pilota matto ovvero di Vittorio Beonio Brocchieri, un pilota della Regia veramente fuor dall’ordinario. Filosofo, professore universitario, scrittore, giornalista, pilota d’aerei, trasvolatore, capitano della Regia Aeronautica, guerriero. D’altronde lui stesso si era definito uomo prismatico, sintetizzando così quel suo vivere pericolosamente tra mille luci e bagliori nell’azzurro dei cieli. Dunque un uomo d’azione e di pensiero al massimo grado. Una figura davvero dannunziana a tutto tondo. Fu nella guerra d’Etiopia che iniziò per Beonio Brocchieri la leggenda del pilota matto. E l’appellativo non gli fu affibbiato a caso da Indro Montanelli. In diuturna avanscoperta sulle ambe abissine, per segnalare, in collegamento radio, eventuali agguati alle nostre colonne in rapida avanzata. Azzardati decolli e rocamboleschi atterraggi su inesistenti piste, che gli costarono più di un velivolo malamente scassato. E veramente in quei momenti il coraggio rasentava la pazzia. L’azione lo coinvolgeva totalmente giorno e notte, eppure non si dimenticava affatto di scrivere succose corrispondenze di guerra per i suoi affezionati lettori del Corriere della Sera.

Ma il libro narra anche di figure che, pur non offrendo alcun episodio di eclatante eroismo, sono tutte intrise di quel silenzioso, quotidiano, minimale eroismo, quello più difficile da mettere in atto perché richiede una continua tensione ideale nella vita di ogni giorno. Come quella del sergente marconista Mario Mancusi, caduto col suo aereo in missione di guerra, una vita per l’Italia il cui migliore epitaffio resta quello del desolato e vecchio padre, che in una lettera, datata 4 novembre 1942, così scriveva: … nulla mai chiese, tutto sempre dando, prodigandosi fino al possibile ed anche oltre, per la sua Patria che egli voleva grande, temuta e rispettata.

O come quella dell’ing. Michele D’Amico e del suo diario di guerra, quand’era, nell’anno 1943, giovane sottotenente della Regia Aeronautica di stanza all’aeroporto della Margana nella piazzaforte aeronavale di Pantelleria. Passato alla storia patria per la famosa frase Ma perché ci siamo arresi?, quando da Radioponte Pantelleria parlò col generale Monti del Comando Aeronautica Sicilia di base a Catania. Il D’Amico fu testimone chiave nel dopoguerra nel famigerato processo degli ammiragli contro lo scrittore Antonino Trizzino, reo di aver rivelato nel suo libro Navi e poltrone, tra l’altro, anche gli squallidi retroscena della resa di Pantelleria per viltà dei capi. Anche per merito suo quel processo diventò poi processo agli ammiragli, salvando il Trizzino da un’ingiusta condanna e ristabilendo così la verità storica.

Una costante del libro è quella di aver saputo bandire dalle sue pagine la retorica, anche perché scrivere degli uomini in guerra, c'è facilmente il rischio di scadere in essa, d’altronde sempre in agguato in storie del genere. L'orripilante retorica delle belle parole altisonanti, che alla fine finisce per sporcare tutto e tutti, perfino i caduti. Il vero eroismo fugge la retorica come la peste.

Orazio Ferrara - Ali infrante / Storie dimenticate della Regia Aeronautica - IBN Editore, Roma, 2014

162 pp., con numerose foto, € 15

IBN Editore, Via dei Marsi, 57 - 00185 Roma, Tel & Fax: 0039 06 4452275 - 0039 06 4469828 - e-mail: info@ibneditore.it

giovedì 9 gennaio 2014

Il "barone nero" Roberto Jonghi Lavarini

 
Roberto Jonghi Lavarini socio onorario della
Unione Nazionale Combattenti della RSI
 
 
Roberto Jonghi Lavarini ha 40 anni, è felicemente sposato con Veronica ed ha due figlie di 11 e 6 anni, Beatrice e Ludovica. Laureato in Scienze Politiche alla Università Statale di Milano, lavora come consulente immobiliare (compravendita e ristrutturazioni) nella società di famiglia ed è iscritto a diverse associazioni di categoria. Cristiano Cattolico praticante, fedele alla Tradizione, è Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Volontario del Corpo Italiano di Soccorso del Sovrano Militare Ordine di Malta. Appassionato di storia, cultura, araldica, tradizioni religiose e popolari, enogastronomia e sagre paesane, è molto legato alle radici ed alla identità Walser (tedesco-vallese) della propria famiglia e fa parte del gruppo folkloristico del suo paese di origine, Ornavasso. Da sempre coerente militante di destra, è stato: Segretario del Fronte della Gioventù di Milano, Dirigente Provinciale del Movimento Sociale Italiano, Dirigente Regionale di Alleanza Nazionale e della Fiamma Tricolore della Lombardia, Consigliere Circoscrizionale e Presidente della Zona Porta Venezia, per due volte candidato alla Camera dei Deputati come Indipendente ne La Destra. Attualmente, per scelta, non ricopre alcuna carica politica e non è iscritto a nessun partito ma collabora con svariate associazioni culturali e testate giornalistiche, partecipando a diverse trasmissioni televisive come opinionista. http://www.robertojonghi.it/

 
Antica famiglia Walser (tedesco-vallese) della Vall d’Ossola, gli Jonghi Lavarini sono i legittimi discendenti dei nobili carolingi Crussnall primi signori feudali di Ornavasso, poi trasferitisi in Svizzera. Il Capostipite di questa importante Sippe germanica, storicamente presente in tutte le valli del Monte Rosa, è Jocellino I von Urnavas, citato nel 1275 come Visdomino di Naters. Da suo nipote Jocellino II “Jung” (il giovane), discendono appunto gli Jonghi von Urnavas che furono fra i promotori della colonizzazione walser delle Alpi, spingendosi, oltre il passo del Sempione, fino a fondovalle, a Casaleccio, Ornavasso e Migiandone, rivendicando la titolarità su quelle terre.  Nel 1486, il Vescovo di Sion, Iodico von Syllinen, Signore del Vallese e Principe del Sacro Romano Impero, rivendicando il legittimo dominio su quelle terre, nominò, suo Curatore, il Ritter (Cavaliere) Theodorus Jongh, riconoscendolo erede dei primi signori di Ornavasso  (poi trasferitisi nel Vallese) con lo spettante titolo di Freiherr von Urnavas. Già nel 1495, però, il Ducato di Milano ed i Visconti rientrarono definitivamente in possesso della Baronia di Ornavasso, accordandosi con le “locali genti alemanne” (Walser), alle quali venne concessa una larga autonomia.  Da allora i “todeschi Jonghi di Urnavas” sono sempre citati  negli eventi storici della valle. In particolare, nel 1575, Pietro ed Angelino Jonghi, partecipano alla costituzione degli Statuti di Ornavasso in quanto “cardenzari et uomini particolari di detto luoco”.  Nel 1605, gli Jungen Urnavas sono citati nel “Wappenbuch des Heligen Romischen Reichs” (registro degli stemmi del Sacro Romano Impero). Nel corso dei secoli possedettero molte terre agricole, pascoli, boschi, cave di marmo e palazzi signorili (ancora esistenti come quelli di Ornavasso, Vogogna e Piedimulera), imparentandosi con le più importanti famiglie del Verbano-Cusio-Ossola. Dal 1738 gli Jonghi furono sempre presenti nel Consiglio Generale dell’Ossola come Patriziato Aggregato. Nel 1900, S.M. Re Umberto I concesse al Nob.Cav.Ing. Cesare Jonghi di aggiungere al proprio cognome ed al proprio stemma anche quelli materni dei nobili Lavarini (famiglia di remota origine veneta, di medici ed impresari, decurioni e sindaci, citata fin dal 1575). http://www.genmarenostrum.com/pagine-lettere/letteraj/jonghilavarini.htm


Intervistiamo Roberto Jonghi Lavarini (41 anni, noto esponente della destra milanese, opinionista radio televisivo, ex dirigente del MSI e di AN, già presidente della zona Porta Venezia): uno "politicamente scorretto e senza tanti peli sulla lingua". D (domanda) – R (risposta) D - Ti abbiamo sentito alla Zanzara sotto il fuoco incrociato di Cruciani e Parenzo… R - Si, è un bel ring anche se alla radio è impossibile spiegare bene i concetti, difendersi e replicare. Mi dispiace solo essere stato obbligato a parlare solo del passato e non del presente, tantomeno del futuro. Comunque, sia chiaro: non mi vergogno affatto delle mie idee e non ho certo paura di esprimerle liberamente. Io non rinnego nulla e non mi tiro indietro davanti ad una sfida. Il mio giudizio storico sul Fascismo e Mussolini rimane assolutamente positivo. Anzi, a dirla tutta, di fronte alla attuale crisi dell’occidente, causata dalle speculazioni della plutocrazia internazionale, incomincio anche a capire ed a rivalutare certe scelte politiche ed economiche della Germania Nazional-Socialista. La storia del secolo scorso è tutta da riscrivere... D - Ti abbiamo anche letto sui giornali parlare di Grillini e Lepenisti… R - Ho semplicemente riportato dei fatti assolutamente noti: Marine Le Pen, in vista delle prossime elezioni europee del 2014, vuole giustamente costituire un fronte europeo dei popoli e delle nazioni, e, attraverso tutta una serie di contatti ed incontri,  cerca degli interlocutori affidabili anche in Italia. Mi hanno però assicurato, dalla sua segreteria politica, che non vi è e non vi sarà  mai alcun accordo con il Movimento 5 Stelle. Ad oggi, quindi, gli unici referenti ufficiali del Front National francese, rimangono solo la Fiamma Tricolore e La Destra che, non a caso, hanno ripreso ed accelerato il processo di riunificazione della destra sociale italiana. D - Infatti, sabato sarai a Roma alla rifondazione di AN lanciata da Storace… R - Quella di riesumare la vecchia Alleanza Nazionale è evidentemente solo una provocazione politica, rivolta soprattutto agli amministratori della omonima fondazione (che gestisce il patrimonio del MSI) ed ai Fratelli d’Italia: l’obbiettivo è, finalmente, quello di riunire, rinnovare e rilanciare la destra italiana, partendo dall’appello lanciato, a suo tempo, da Marcello Veneziani e dal  progetto Itaca. Urge un nuovo movimento anti-mondialista che difenda veramente l’identità, la sovranità, i sacrosanti interessi del nostro popolo e della nostra nazione. Bisogna fare massa critica, voltare pagina, chiudere con vecchi rancori e polemiche. Su questa strada obbligata (non solo dallo sbarramento elettorale del 4%), i nostri primi e naturali interlocutori non possono che essere gli amici di Officina per l’Italia. D - Veniamo a Milano, quale è il tuo commento sul Far West di Quarto Oggiaro? R - Conosco bene quel quartiere difficile e, durante la campagne elettorali, in mezzo a centinaia di cittadini assolutamente perbene, ho incrociato anche diversi pregiudicati, alcuni dei quali cercavano veramente di cambiare vita ma non è facile. Lo stato deve fare sentire tutta la sua autorità ed autorevolezza, innanzitutto dando risposte concrete (case popolari, asili nido, spazi per i giovani, sussidi per gli anziani, istruzione e supporto al mondo del lavoro) e secondariamente con una presenza costante e visibile delle forze di polizia. Per sradicare la criminalità ed il degrado, servono “il bastone e la carota”, ovvero legge ed ordine (anche “il pugno di ferro” quando serve) ma insieme a giustizia sociale. Ma in quella zona, è giusto ricordare che ci sono anche tanti esempi positivi: parrocchie, centri sportivi, associazioni culturali e di volontariato e tanta solidarietà. D - Quale è il tuo giudizio sui governi locali di Pisapia, Podestà e Maroni? R - Quello sulla giunta rossa del radical-chic Pisapia è assolutamente pessimo: ha diminuito fortemente la sicurezza ed il benessere dei milanesi, tartassato famiglie e commercianti, abbandonato le periferie, difeso solo zingari e leonkavallini, riempito di consulenze e soldi pubblici i propri compagni di merende. La giunta provinciale ha lavorato benino ma, contando veramente poco, non se ne è accorto nessuno. E dalla Regione Lombardia, dopo tutte le incoraggianti promesse elettorali di cambiamento di Maroni e della sua lista civica, sinceramente, mi sarei aspettato di più, ma è ancora presto per giudicare, diamogli ancora qualche mese. La verità è che in questa crisi sistemica della democrazia, i partiti e le assemblee elettive contano sempre meno e la classe dirigente selezionata è sempre più mediocre e meno autonoma. Bisogna tornare alla grande e buona Politica, fatta con disinteresse e passione, per la propria comunità, ognuno con le proprie idee. D - Ma quali sono le tue proposte concrete per uscire da questa grave crisi sociale? R – Grazie della domanda, finalmente parliamo di cose concrete! Le famiglie e le imprese italiane sono soffocate dalle tasse e dalla burocrazia, non si riesce più a lavorare e, in certi casi, nemmeno a sopravvivere. E per abbassare questa vessatoria e insopportabile pressione fiscale, oltre a fare tagli (e di carrozzoni inutili e sprechi ce ne sono ancora tantissimi), bisogna rivoluzionare il sistema economico dello stato, rivedere i trattati europei, riprenderci la nostra piena sovranità monetaria, nazionalizzare la Banca  d’Italia, vietare e punire severamente le infami speculazioni dell’alta finanza privata internazionale che sono la principale causa di questa crisi. D - Ora arriva il giochino del botta e risposta. Ad ogni nome che faccio voglio un definizione sintetica o un tuo commento veloce. D - Erich Priebke: R - Un soldato tedesco che ha ubbidito ad ordini superiori. Pace all’anima sua. D - Papa Francesco: R - Simpatico, comunicativo, nazionalpopolare ma io preferivo Benedetto XVI. D - Silvio Berlusconi: R - Un sincero anticomunista. Un grande uomo, con più pregi che difetti. D - Alba Dorata: R - Onore ai due giovani patrioti greci ammazzati dai sicari del mondialismo. D - Primavera Araba: R - Una tragedia. Io difendo i cristiani perseguitati ed in Siria sostengo Assad. http://destrapermilano.blogspot.it/2013/11/intervista-roberto-jonghi-lavarini-7.html

mercoledì 8 gennaio 2014

"I Gruppi Rionali Fascisti di Milano"

 
"I Gruppi Rionali Fascisti di Milano"